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Elezioni 2018, altri 2 massoni candidati tra i Cinque Stelle. Il Movimento: “Sono fuori, valutiamo richiesta danni”

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Spuntano altri due iscritti dalla massoneria tra i candidati del Movimento 5 Stelle. Se nel pomeriggio era stato Il Foglio a fare il nome di Piero Landi, candidato in Toscana, in serata è stato lo stesso M5s a comunicare quello di Bruno Azzerboni, tra i nomi presentati in Calabria nel collegio Reggio Calabria-Gioia Tauro. Entrambi, hanno fatto sapere i 5 Stelle, sono fuori dal Movimento. Come è fuori anche Catello Vitiello, il candidato campano che Il Mattino ha scoperto essere iscritto al Grande Oriente d’Italia.

Vitiello, Landi e Azzerboni, spiegano i Cinque Stelle in una nota, “al momento della sottoscrizione della candidatura non hanno detto la verità e non ci hanno informato di far parte di una loggia massonica”. Per questa ragione “non possono stare nel M5S e sempre per questo motivo gli sarà richiesto di rinunciare al seggio” e il Movimento spiega inoltre che li è inibito l’utilizzo del simbolo e “ci riserviamo di agire nelle opportune sedi al fine di risarcire eventuali danni di immagine cagionati al M5S”.

A sollevare il caso di Landi, candidato nel collegio uninominale della Camera a Lucca era stato Il Foglio, che nel pomeriggio sul proprio sito internet ha scritto che nome, cognome e data di nascita dell’aspirante deputato corrisponderebbero con quelli registrati negli elenchi del Grande Oriente d’Italia. L’uomo sarebbe iscritto alla loggia “Francesco Burlamacchi” e risulterebbe “in sonno” dal 5 febbraio. Una situazione simile a quella di Catello Vitiello, “oratore” della loggia napoletana “Sfinge”, aderente al Grande Oriente d’Italia, candidato nel collegio uninominale di Campania 3 per la Camera.

Interpellato dal Foglio, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi, ha risposto di non poter “confermare né smentire. Chiedetelo a lui”. Il giornale ha contattato quindi lo stesso Landi che ha negato di aver mai fatto parte della loggia Burlamacchi ma ha ammesso di aver fondato a Lucca un’associazione, “Italia punto e a capo”. In questa associazione ci sono appartenenti alla massoneria? “Sì – ha risposto Landi – però io non posso dirle altro. Sì, perché è noto a tutti ma…Non…Naturalmente da questo movimento o comunità di ascolto io ho dato le dimissioni appena ho dato le disponibilità al M5s. Non sono più con loro”.

Una questione, quella sull’appartenenza alla massoneria dei propri iscritti, che il Partito Democratico ha risolto nel 2010, dopo che alcune inchieste giornalistiche avevano fatto divampare la polemica. La soluzione? Cambiando le regole: il 7 giugno il comitato dei Garanti stabiliva che si può essere massoni e iscritti al Pd a patto che la loggia non sia segreta e che, al momento di
aderire al partito, si dichiari a colpi di documenti l’appartenenza a qualsiasi associazione così da consentire la verifica.

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Elezioni, iscritti alla massoneria nelle liste? Nel Partito Democratico si può: basta dirlo

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La presenza di tre massoni nelle liste per le prossime elezioni politiche sta creando non pochi problemi al Movimento 5 Stelle, con la cacciata dei tre candidati e la richiesta di danni d’immagine come conseguenza inevitabile della scoperta. “Quello che sta accadendo sui 5 stelle è impressionante. Ci fanno la morale, ci dicono che noi abbiamo gli impresentabili, ma si sono trasformati nell’arca di Noè e sono saliti a bordo  truffatori, scrocconi, riciclati di altri partiti politici e massoni” ha commentato Matteo Renzi. Ettore Rosato, capogruppo dem alla Camera, è andato anche oltre, sottolineando che “i cinque stelle stanno perdendo la dignità: gridavano onestà e non riescono neanche a rispettare i loro regolamenti. Ma – ha aggiunto – cambieranno anche questa regola: diranno che si può essere iscritti alla massoneria e al Movimento 5 stelle“.

Una polemica, quella sull’appartenenza alla massoneria dei propri iscritti, che tuttavia il Partito Democratico ha affrontato nel 2010, quando una serie di inchieste giornalistiche svelarono che molti amministratori toscani del Pd erano iscritti al Grande Oriente. Il tutto dopo che un assessore del comune di Scarlino (Grosseto), Guido Mario Destri, era stato fotografato ad una riunione della Loggia Guerrazzi di Follonica. “Il Pd non può avere zone d’ombra – attaccava il 31 maggio 2010 Giuseppe Fioroni – lo statuto parla chiaro: gli iscritti non possono avere iscrizioni segrete né partecipare ad associazioni che diversamente dalla Costituzione creano cittadini più uguali degli altri”. “Il Codice etico è chiarissimo – faceva eco il 2 giugno Maria Pia Garavaglia – non possono farvi parte persone iscritte ad associazioni segrete”.

Dopo cinque giorni, però, la situazione venne risolta nel più semplice dei modi: cambiando le regole. Il 7 giugno, infatti, il comitato dei Garanti stabiliva che si può essere massoni e iscritti al Pd a patto che la loggia non sia segreta e che, al momento di aderire al partito, si dichiari a colpi di documenti l’appartenenza a qualsiasi associazione così da consentire la verifica. Il caso esaminato dal comitato era quello di Ezio Gabrielli, assessore di Ancona costretto alle dimissioni dopo aver dichiarato di essere affiliato al Grande Oriente d’Italia e in quel momento sospeso dal Pd. Dopo quasi tre ore di discussione, i garanti presieduti da Luigi Berlinguer stabilivano che Gabrielli poteva rientrare nel Pd a patto che avesse dimostrato che la sua loggia massonica non era segreta e non aveva fini contrari al codice etico e allo statuto del partito.

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M5s, l’avvocato Zanforlini candidato a Ravenna: “Io massone? Fatti miei. Mi devono uccidere per farmi rinunciare”

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Non smentisce di essere stato massone, ma nonostante questo dichiara che non firmerà l’atto di rinuncia alla candidatura richiesto dal Movimento 5 stelle. “Mi devono uccidere per farmi rinunciare”, è il commento di David Zanforlini, avvocato di Ferrara e candidato all’uninominale con il M5s a Ravenna, intervistato dal Corriere della sera. Dopo Piero Landi, candidato in Toscana, Bruno Azzerboni in Calabria, e Catello Vitiello in Campania, arriva il quarto caso di presunti massoni in sonno nelle liste. Luigi Di Maio ha già dichiarato che saranno esclusi, ma non tutti sembrano disponibili al passo indietro.

Zanforlini, noto per le sue battaglie in difesa di ambiente e animali, si era fatto conoscere dal Movimento grazie anche al contatto con i parlamentari Micillo e Ciampolillo. Oggi, al Corriere, dice che non sta violando nessuna regola: “Guardi, sono basito. Ho qui il passaggio preciso del codice etico per i requisiti. Vediamo, dov’è. Ecco. Qui ci sono le frasi in cui si dice che devi essere bello, buono, bravo. Ah ecco qui: il candidato non deve essere iscritto a movimenti massonici”. Ma alla domanda “dicono che sia stato un gran maestro del Grande Oriente d’Italia e che ora si sia messo in sonno”, replica: “E questi sono fatti miei. Nel codice etico c’è scritto al presente. Le parole sono importanti, scripta manent verba volant”. Per Zanforlini i 5 stelle non “hanno diritto di sapere del suo passato”: “Ma che siamo all’Inquisizione? Se anche io fossi un transessuale di nome Elisabetta che batte in via Stalingrado, non ti devi permettere di chiedermi niente. Questa è gente violenta, vogliono impadronirsi delle nostre vite”. E aggiunge: “Platone, nella Repubblica, aveva già detto tutto: quando c’è troppa democrazia, si rischia di finire nella tirannia. Ho paura che ci stiamo arrivando”. Ma allora perché ha scelto di candidarsi con i 5 stelle? “Perché nella mia attività ho trovato solo loro, nella politica. I parlamentari Micillo e Ciampolillo ci sono sempre, se li chiamo. Quindi l’affinità è questa. Anche se sono amico di Dario Franceschini”. Morale, Zanforlini non firmerà l’atto di rinuncia al seggio voluto dai 5 stelle: “Ma quale atto, quello è incostituzionale. Io le leggi le rispetto. L’unica che non avrei mai rispettato è quella sulle leggi razziali. A me i razzisti fanno schifo. E ora capisco come si deve sentire un gay, un nero, un ebreo. Mi sono impegnato con gli elettori e vado avanti, nonostante questa situazione grottesca. Questa gente ormai mi fa paura, è pericolosa”.

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Elezioni 2018, psicosi da massoneria: candidato M5S partecipa a evento e poi si dissocia, ma c’erano quelli di tutti i partiti

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Psicosi massoneria nei Cinque Stelle. Un loro candidato va a una tavola pubblica, presenti i candidati di tutti i partiti (Lega, Pd, Leu…), ma è l’unico a doversi difendere da sospetti e accuse di affiliazione, al punto da dissociarsi pubblicamente dall’endorsement poi ricevuto dagli stessi organizzatori. Protagonista della vicenda è Paolo Margari, candidato alla Camera per la circoscrizione Estero sul quale sono piovute accuse non dissimili a quelle che nei giorni scorso hanno colpito altri tre candidati del Movimento (Vitiello, Landi e Azerboni), con conseguente cacciata a metà corsa elettorale. Ebbene Margari, 38 anni attivista da 11 anni, laureato in economia con phd selezionato con parlamentarie, sarebbe un “grembiulino”. La prova provata? La sua partecipazione a una tavola rotonda organizzata il 9 febbraio a Londra dal Movimento Roosevelt UK,  il cui patron Gioele Magaldi vanta (e si vanta) effettivamente d’esser un massone, pardon: Gran Maestro della loggia.

“Massone io, giammai”, risponde Margari da Bruxelles, dove risiede, spiegando che su quel palco non era solo bensì in compagnia di una decina di esponenti di altri partiti in corsa per le elezioni: Forza Italia, Lega, Liberi e Uguali, Partito Democratico, + Europa con Emma Bonino, Noi con l’Italia. Ma il grillino è l’unico a finire sulla graticola, a suon di segnalazioni e post, causa i tre casi aperti nel Movimento e una campagna elettorale a dir poco turbolenta. La vicenda infatti è tutt’altro che chiusa nel M5S e gli avversari, Renzi in testa, la brandiscono da giorni per colpire Di Maio. In mezzo poi ci s’infilano anche i sedicenti massoni che puntano il dito contro “l’ingiusta discriminazione” che colpisce gli affiliati e il loro diritto a stare nelle liste delle formazioni politiche in lizza per il 4 marzo, ovunque siano.

In questa polveriera s’è ritrovato, suo malgrado, il candidato M5S.  “Sì sì, giuro su Beppe, non sono un massone” risponde ancora divertito Margari,  raggiunto al telefono. La faccenda però è seria: due candidati coi Cinque Stelle sono stati mezzo scandidati e uno resiste, attaccato al suo destino ormai intaccato dal passato da massone. Margari non ride più ma mette le mani avanti. Nel pomeriggio manda anche una dichiarazione scritta, screenshot, link e quant’altro possa costituire prova di innocenza, o almeno un alibi: “Dichiaro – si legge – di non aver mai avuto a che fare con alcuna loggia massonica, non conosco massoni, né direttamente né indirettamente e trovo sconcertante che la partecipazione a un pubblico dibattito, peraltro aperto a tutte le forze politiche, possa dar luogo a simili fraintendimenti. Per quanto ne sappia il Movimento Roosevelt, ammetto di non esserne stato a conoscenza prima del dibattito di pochi giorni fa. Non ritengo che sia un’organizzazione massonica (per lo meno questo dichiarano pubblicamente sul loro sito) e la loro pagina Facebook ha oltre 150.000 likes di cui numerosi amici di vari schieramenti politici, incluso il M5S”.

E allora tocca insistere. “Sono stato invitato a quel dibattito elettorale dal MeetUp M5S di Londra. Ma con me c’erano anche i candidati di altri partiti. Abbiamo parlato dei programmi di governo e dei temi politici che riguardano gli italiani all’estero. Alla fine gli organizzatori hanno fatto una specie di endorsement a mio favore, ma non ero il solo”. Nella mail manda anche lo screenshot coi volti degli altri due candidati “promossi” dal Movimento Roosevelt (e dunque dal Gran Maestro): Chiara Mariotti (Leu) e Simone Orlandini (Lega). Ma tanto può la sindrome da accerchiamento massone che dopo due ore Margari fa sapere di dissociarsi anche da quell’apprezzamento pubblico che gli è stato tributato. “Mi sono sentito con il M5S e mi sono dissociato dall’indicazione ricevuta dal Movimento Roosevelt, li ringrazio ma non faccio parte di quel consesso e ritengo quell’apprezzamento non utile alla causa e addirittura dannoso per aver ricevuto alcune critiche da alcuni attivisti”. In ultimo piazza lì come un certificato di non compromissione una bella foto in cui abbraccia fraternamente Armando Petrella, leader delle campagne per l’acqua pubblica e i beni comuni, spesso osannato e ripreso dal blog di Grillo. Nella mail precisa che il massone fondatore del Movimento Roosevelt ha scritto sul blog di Grillo e che un componente del direttivo dell’associazione, Nino Galloni, già ospite del Blog delle Stelle, è stato più volte associato al M5S, non ultimo come potenziale assessore all’economia a Roma nella giunta Raggi.

 

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M5S, Crozza-DiMaiOs va in tilt per difendersi dalle accuse per i casi di massoneria: “Ricalcolo… ricalcolo”

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L’esponente del Movimento 5 Stelle, che come di consueto appare sul palco di Fratelli di Crozza  – in onda tutti i venerdì in prima serata su Nove – nella versione software Di MAiOS , si difende dalle accuse per i recenti casi di massoneria scoperti all’interno del Movimento fingendo di andare in tilt: “Ricalcolo, ricalcolo. No, niente prendevo tempo. Attendere prego, cerco argomento al quale aggrapparmi… trovato: onestà, onestà.” Live streaming, episodi completi e clip extra su Dplay.com 

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Massoneria, viaggio nella loggia del Grande Oriente: ‘Qui niente politica’. Ma c’è l’uomo di Fi: ‘È il nostro candidato’

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“Noi bandiamo il dogma e coltiviamo il dubbio. Sono due gli argomenti di cui non parliamo mai: la politica e la religione“. Così parlò il libero muratore seduto sullo scranno di uno dei piccoli templi celati nella pancia di via Pirelli 5, a Milano. È qui, a due passi dalla stazione centrale, che ha sede la loggia del Grande Oriente d’Italia , la principale obbedienza del Paese. “Perché non parliamo di politica e religione? Perché sono gli argomenti che dividono l’umanità“, continua il massone vestito in abiti civili, che si è offerto di guidare ilfattoquotidiano.it a visitare i sotterranei della loggia. Pochi attimi prima, al piano superiore, un suo confratello – che invece sfoggia il collare verde e oro d’ordinanza – ha salutato calorosamente Fabio Altitotante, consigliere in Regione Lombardia, ricandidato da Forza Italia alle elezioni di domenica prossima. “Vieni qui, fatti presentare. Questo è il nostro candidato: sarà il primo degli eletti se lo voti pure tu”, dice ai vari curiosi che affollano la sala grande.

Una decina di gradini illuminati, qualche attento bodyguards, un guardaroba all’entrata di tre saloni bianchi e i tavoli lungo i muri con le olive e le patatine: vista così sembra più che altro l’inaugurazione di una qualsiasi attività commerciale. E invece è il giorno dell’orgoglio massonico e la sede del Grande Oriente d’Italia è aperta al pubblico come ordinato dal Gran Maestro Stefano BisiL’hanno chiamato il Goi Pride ed è il modo in cui i fratelli muratori replicano alla commissione parlamentare Antimafia, a un anno esatto dall’ordine di Rosy Bindi. L’1 marzo del 2017, infatti, la presidente di Palazzo San Macuto mandò la guardia di finanza a perquisire il Vascello, la sede romana del Goi. L’obiettivo? Sequestrare tutte le liste degli iscritti alle logge in Calabria e Sicilia. “Se ce lo chiede la magistratura siamo ben felici di collaborare. Ma quella ordinata dalla Bindi è stata una mancanza di rispetto”, dicono i fratelli muratori di via Pirelli. Dove per vedere la loggia, quella vera, bisogna scendere due rampe di scale.

“Questa è la sala in cui ospitiamo anche gli interventi esterni”, dice il massone che si offerto di fare da Cicerone indicando un grande ambiente quadrato. Intorno si susseguono una serie di stanze di dimensioni diverse: sono i vari templi che cambiano grandezza a seconda del numero degli istritti. Lo scranno del gran maestro è al centro, circondato da quelli degli altri confratelli. Ai muri sono impresse tre parole in oro: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. E poi un acronimo: A.G.D.G.A.D.U. È una sigla che significa: “Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo”.

Sul pavimento di legno, invece, ci sono i più classici dei simboli massonici: la squadra e il compasso. Sono i classici utensili dell’architetto, legati alla figura immaginaria di Hiram Abif, che avrebbe progettato il tempio di Salomone. La squadra potrebbe rappresentare la materia, mentre il compasso lo spirito o la mente. Il condizionale, infatti, è d’obbligo, visto che il dogma per i fratelli muratori non esiste. “Noi – spiegano – coltiviamo il dubbio. Per questo siamo perseguitati”. Perseguitati da chi? “Da tutti. Dalla Chiesa, dalla commissione Antimafia, dalla stessa politica”.

Eppure, secondo l’inchiesta di palazzo San Macuto, all’interno della massoneria c’è “una sorta di tolleranza, frutto di un generalizzato negazionismo dell’infiltrazione mafiosa, magari volto a salvaguardare il prestigio internazionale dell’associazione massonica o le sue fondamentali regole di segretezza”. “Noi non siamo segreti siamo riservati. E non siamo più riservati degli appartenenti all’Opus Dei o degli iscritti a un partito politico. E come tutte le associazioni, compresa persino l’Acli, siamo infiltrabili. Non è il massone che delinque, è il delinquente che s’inserisce nella massoneria”, sostengono i fratelli muratori milanesi. “Uno ci ha chiesto: dove è al foto di Licio Gelli? Ma Gelli è un esempio negativo. Sono stati massoni anche personaggi come Fleming o Quasimodo“. Ma perché mafiosi e faccendieri dovrebbero infiltrarsi nella massoneria, come varie volte è avvenuto nel passato? Forse per entrare in contatto con alti esponenti delle istituzioni? Dal finanza e della politica? “È vero – concedono – che qui si può conoscere tanta gente che non si sarebbe mai incontrata in altre occasioni ma la massoneria non prende decisioni, non parla di politica: veniamo visti detentori di un potere che non abbiamo e non amministriamo in alcun modo”. E il candidato di Forza Italia che ha fatto visita al piano superiore? “I singoli massoni, ovviamente, possono votare o fare votare per chi vogliono. Ma la massoneria non ha suoi candidati e non si occupa di politica. La politica divide l’umanità, la massoneria la unisce“. A questo giro pare che qualcuno voglia unire soprattutto voti per il candidato di Forza Italia.

Twitter: @pipitone87

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Contratto Lega-M5s, Bisi (Grande oriente): “Clausola antimassonica? Antidemocratica e anticostituzionale”. “Conte? Mai incrociato”

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“Se ci sono possibili massoni tra i nomi evocati per la squadra di governo M5s-Lega? Non mi pare, per ora non ho visto o letto di fratelli iscritti al Grande Oriente d’ItaliaQueste le parole del Gran Maestro del Grande Oriente d’ItaliaStefano Bisi, nel corso di una conferenza stampa alla sede della stampa estera, iniziativa nel corso della quale il Goi ha attaccato la clausola antimassonica presente nel contratto Lega-M5s. “È antidemocratica e anticostituzionale, non si può impedire la libertà di partecipazione alla vita pubblica”, ha attaccato Bisi. Per poi lanciare un appello a Mattarella: “Difenda i cittadini italiani, tutti”.

Sul nome di Giuseppe Conte, condiviso da M5s e Lega come possibile premier e convocato da Mattarella al Quirinale, ha invece spiegato: “Non l’ho mai incrociato, l’ho visto su giornali e in tv. Chiederemo un incontro? Sì, lo abbiamo fatto anche con Di Maio”.

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Massoneria, la visita guidata nella loggia del Grande Oriente d’Italia ha il patrocinio della Regione Siciliana

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Una visita guidata all’interno della loggia Giordano Bruno del Grande Oriente d’Italia, a Termini Imerese, in provincia di Palermo. Uno degli eventi sui quali la massoneria punta per avvicinarsi alla comuni cittadini dopo le accuse arrivate nei mesi scorsi dalla commissione Antimafia. Solo che questa volta i fratelli muratori hanno uno sponsor d’eccesione: l’assessorato ai Beni Culturali della Regione Siciliana. Che ha concesso il suo patrocinio con tanto di logo istituzionale piazzato sotto il simbolo del Grande Oriente d’Italia.

A raccontare la curiosa partnership è livesicilia.it, che ha chiesto a Sebastiano Tusa, assessore ai Beni Culturali di Nello Musumeci, il motivo di questa scelta.  “Assessore, lei è massone?“. “No anzi, oggi sono contro, non giudico più questa organizzazione che aveva una sua legittimità durante il risorgimento ma oggi non ha più ragione di essere”, risponde Tusa al quotidiano online siciliano. Perché dunque ha concesso ai fratelli muratori il logo del suo assessorato? “Non me lo sono posto il problema, la conoscenza della massoneria serve per giudicare. Non ritengo che sia un fatto negativo avvantaggiare un’associazione che vuole fare conoscere un luogo legato alla massoneria, è un’opera di conoscenza sempre utile. Non ci vedo niente di male perché la massoneria ha avuto nel passato un ruolo positivo, oggi non proprio, ma comunque è una realtà positiva ed è una iniziativa che può concorrere ad avere una percezione esatta del fenomeno”. La visita alla loggia di Termini Imerese è inserita negli eventi di BcSicilia, che ne dà ampia pubblicità sulla propria pagina facebook. Si tratta di un’associazione culturale e di volontariato che “opera per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali”. La visita alla loggia è prevista per il 23 agosto alle 21 e 30 e – come specifica la locandida dell’evento – “è obbligatoria la prenotazione”.

Il Grande Oriente d’Italia è la principale obbedienza del Paese e nel marzo scorso aveva aperto le sue logge al pubblico per quella che era stata ribattezzata “giornata dell’orgoglio massonico”. Subito ribattezzato come Goi Pride era il modo usato dal Gran Maestro Stefano Bisi per replicare alla commissione parlamentare Antimafia, a un anno esatto dall’ordine di Rosy Bindi. L’1 marzo del 2017, infatti, l’allora presidente di Palazzo San Macuto mandò la guardia di finanza a perquisire il Vascello, la sede romana del Goi. L’obiettivo? Sequestrare tutte le liste degli iscritti alle logge in Calabria e Sicilia. “Se ce lo chiede la magistratura siamo ben felici di collaborare. Ma quella ordinata dalla Bindi è stata una mancanza di rispetto”, dicevano i fratelli muratori della sede di via Pirelli a Milano al cronista del fattoquotidiano.it.

Proprio l’ex vicepresidente di Rosy Bindi, e cioè Claudio Fava, ha fatto approvare pochi giorni un disegno di legge dalla commissione Affari istituzionali
dell’Assemblea siciliana per obbligare i deputati e gli assessori regionali a dichiarare eventuali affiliazioni a logge massoniche.  “Un atto illegittimo e anticostituzionale che, dietro la bandiera di una strumentale  pseudo trasparenza istituzionale da garantire, nasconde solo ed  esclusivamente una profonda e radicata Massofobia già ampiamente mostrata durante i lavori della Commissione Antimafia di cui lonorevole Claudio Fava è stato vicepresidente”, l’aveva attaccato il Gran Maestro Bisi. All’assessorato ai Beni Culturali, invece, di Massofobia non c’è traccia.

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‘Ndrangheta, le motivazioni della sentenza Gotha: “Sistema allargato di potere tra cosche, massoneria e politica”

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Al sesto piano del Cedir, sede della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, c’è chi ha descritto la sentenza “Gotha” come inimmaginabile 10 anni fa. Forse è così. Di sicuro con le inchieste “Mamma Santissima”, “Fata Morgana” e “Sistema Reggio”, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e i sostituti della Dda Stefano Musolino, Roberto Di Palma e Walter Ignazitto sono finalmente riusciti in quello che, nello storico maxi-processo “Olimpia”, si riusciva solo a intravedere. È stato colpito il famoso “terzo livello”, il direttorio delle cosche, quella componente riservata della ‘ndrangheta che manovra i politici, decide dentro i palazzi delle istituzioni ed è legata ad ambienti massonici.

L’ASSOCIAZIONE SEGRETA
Leggendo le 2500 pagine scritte dal gup Pasquale Laganà, infatti, si percepisce come, con la sentenza “Gotha”, è stata riconosciuta non solo l’esistenza dell’associazione mafiosa ma anche di un’associazione segreta capace di infiltrarsi negli enti locali dettandone gli indirizzi politici. Promossa dall’avvocato Paolo Romeo (che ha scelto il rito ordinario, nda), in sostanza si tratta di un’associazione che “ha rappresentato una sorta di evoluzione delle strategie messe in campo da Romeo per etero-condizionare l’azione di governo locale ai fini illeciti del sodalizio criminale di stampo mafioso di cui lo stesso Romeo fa parte da oltre trent’anni”. Nel troncone del processo conclusosi con il rito abbreviato, il principale imputato è l’avvocato Giorgio De Stefano condannato a 20 anni di carcere. Cugino dei boss Paolo, Giovanni e Giorgio De Stefano (uccisi negli anni ‘70 e ’80), è ritenuto, assieme a Romeo, una delle una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina.

I “SOGGETTI CERNIERA”
Entrambi vengono definiti dai pm come “soggetti ‘cerniera’ che interagiscono tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione criminale”. Soggetti ‘cerniera’ che, stando alle informative del Ros dei carabinieri, a Reggio hanno sostenuto per anni il centrodestra e l’ascesa di Giuseppe Scopelliti prima a sindaco e poi a governatore della Calabria. In questa logica, infatti, sarebbe maturata anche la carriera politica dell’ex assessore comunale e regionale Antonio Caridi – imputato nel processo con il rito ordinario – che, a un certo punto, è diventato senatore. Nel 2014, invece, il direttorio delle cosche ha tentato di infiltrarsi nelle file del Partito democratico spostando i suoi voti a sinistra in occasioni delle regionali e comunali.

L’AVVOCATO ‘NERO’ GIORGIO DE STEFANO
Dopo aver ricostruito le dichiarazioni dei vari pentiti su Giorgio De Stefano, il gup Laganà lo inquadra, “già a partire dalla fine degli anni ’90, al vertice della ‘ndrangheta, in un contesto criminale che interagisce stabilmente, attraverso associazioni segrete caratterizzate dalla ‘segretezza’ dei ‘fini’ e dalla ‘riservatezza’ dei ‘metodi’ (massoneria deviata), con il mondo dell’imprenditoria, della finanza, della magistratura e, più in generale, delle Istituzioni (organi amministrativi e politico- rappresentativi degli enti locali e del governo centrale)”. Condannato definitivamente per concorso esterno nel processo “Olimpia”, all’imputato De Stefano Giorgio – si legge nella sentenza – “è ascritto il ruolo apicale, dirigenziale ed organizzativo della componente ‘segreta o riservata’ della predetta organizzazione criminale di tipo mafioso”. In altre parole, l’avvocato De Stefano – che una trentina d’anni fa è stato anche consigliere comunale di Reggio Calabria – da una parte dirigeva e organizzava la “componente occulta della ‘ndrangheta” e dall’altra, una volta arrestato il boss Giuseppe De Stefano, suo nipote, guidava la cosca di appartenenza assieme all’altro nipote Dimitri De Stefano condannato, anche lui a 13 anni e 4 mesi di carcere. Era Giorgio De Stefano il “regista occulto” della famiglia di Archi nonostante mantenesse una “condotta  improntata a mantenere una certa distanza, almeno in apparenza, rispetto alla componente ‘armata’ del sodalizio”. La regola viene sintetizzata in un’intercettazione finita agli atti del processo: “Non si muove foglia ad Archi se non parlano… se non parlano con Giorgio De Stefano…”. “E non è affatto casuale – scrive sempre il gup – se Fiume (l’ex killer dei De Stefano oggi collaboratore di giustizia Nino Fiume, nda), nell’indicare l’avvocato Giorgio come il consigliori della famiglia (‘un mafioso di vertice che dà i consigli, non un mafioso da quattro soldi’) lo indica come erede di quelle relazioni riservate che il defunto boss Paolo (De Stefano, nda) aveva iniziato ad intessere ed a coltivare sin dagli anni ’70”.

I DE STEFANO E L’EVERSIONE NERA
Erano gli anni in cui la cosca De Stefano era in contatto con personaggi legati alla destra eversiva. Non è un caso che Franco Freda trascorse una parte della sua latitanza in Calabria dove il connubio tra i De Stefano e l’eversione nera è “da rintracciarsi nel periodo antecedente all’inizio della prima guerra di ‘ndrangheta e, in particolare, nel periodo di svolgimento del summit di Montalto nell’ottobre dell’anno 1969, in occasione del quale l’organizzazione avrebbe dovuto ‘formalizzare’ l’adesione a progetti eversivi anche attraverso il fattivo ausilio in azioni di stampo terroristico”. Sono quei legami – secondo il Tribunale – “che stratificano e consolidano la potenza dei De Stefano, la quale si fonda non solo sulla ‘nota’ e ‘visibile’ componente operativa (quella incarnata, fra gli altri, da Carmine, Giuseppe e, all’occorrenza, Dimitri De Stefano) ma, soprattutto, sulla capacità di intessere riservatamente relazioni con il mondo imprenditoriale, politico ed istituzionale, nonché con gli ambienti massonici, di cui hanno dato prova, con diversità di ruolo e di ‘operatività’, i coimputati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo”.

IL PENTITO: “LA MASSONERIA È NELLA ‘NDRANGHETA”
A proposito sarebbe stata proprio la massoneria lo strumento alla base di quello che il gup definisce “il legame biunivoco” tra le cosche e gli esponenti politici locali: “La massoneria – è scritto sempre nella sentenza – ha costituito per la ‘ndrangheta un modello organizzativo perfettamente rispondente alle nuove istanze di segretezza ‘interna’ e di elitarismo criminale”. Questo rapporto “di pari dignità illecita” tra massoneria e cosche, i pm lo hanno spiegato anche attraverso le dichiarazioni del pentito Cosimo Virgiglio, secondo cui “il mondo massonico entra nella ‘ndrangheta e non viceversa”. Ne è venuto fuori un “sistema allargato di potere” che ha come obiettivo finale quello di “garantire alla componente massonica, fortemente politicizzata, la gestione dei flussi elettorali” ed alla componente ‘ndranghetistica il “consolidamento degli ingenti capitali sporchi, già formati, che andavano ricollocati sul mercato, anche estero, mediante strumenti finanziari evoluti, gestiti attraverso gli appartenenti alla massoneria”. Il consolidamento di questo sistema di potere, in cui convivono “in osmotico interscambio di uomini e mezzi, elementi di vertice del sodalizio criminale ed esponenti della società civile, dell’associazionismo, delle istituzioni, delle forze dell’ordine, della magistratura, è stato reso possibile proprio grazie allo stretto legame ‘ndrangheta-politica”. Un rapporto che risale, non casualmente, al moti di Reggio Calabria degli anni ’70 quando si sono registrati legami strettissimi “tra esponenti dei movimenti politici di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, tra i quali il terrorista di estrema destra Franco Freda, ed elementi di vertice della ‘ndrangheta, nella specie il defunto boss Paolo De Stefano”.

LA ‘NDRANGHETA E I PEZZI DELLO STATO
Che le cosche dialogavano con pezzi infedeli dello Stato era già emerso nell’inchiesta “Meta” nata dall’indagine sulla cattura del boss latitante Pasquale Condello, e da cui ha preso le mosse l’operazione “Mammasantissima”. Nel covo di Condello, infatti, il 18 febbraio 2008 il Ros ha trovato un appunto scritto dal boss che si lamentava con un “ignoto destinatario certamente da identificarsi in un rappresentante togato della dell’ufficio giudiziario reggino”. “Lei – scrisse di suo pugno Condello con errori grammaticali probabilmente voluti dallo stesso boss – da quando è venuto a Reg. Cal. e sono moltissimi anni A preso accordi con delle cosche favorendoli nei l’horo processi e questo e sotto gli occhi di tutti. Lei da queste cosche a preso moltissimi soldi, e si è assunto l’onere di continuare la guerra con la sua penna a delle persone oneste. Lei non può indossare la toga per scopi personali, o solo, per difendere dei traffici di droga e assassini. Solo perché le danno moltissimi soldi e combattere ingiustamente persone con le mani pulite. Tutto questo finirà”. Un pizzino finito agli atti del processo “Gotha” assieme a una “inquietante espressione sibillina” pronunciata da Pasquale Condello al momento dell’arresto e riportata dal colonnello Valerio Giardina durante la sua deposizione nel processo “Meta”: “Se ne vedranno delle belle a Reggio Calabria perché si sono rotti determinati equilibri”. Nella sentenza di oggi, il gup chiarisce che si trattava di equilibri che “non erano certo esclusivamente di carattere criminale, ma coinvolgevano, i rapporti tra poteri occulti e ambiti riservati della ‘ndrangheta”.

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Massoneria, servizi deviati, Gladio: le minacce di morte del giudice all’imprenditore che non poteva più pagarlo

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Ci sono la massoneria e i servizi segreti deviati. C’è persino il sistema Gladio, l’organizzazione paramilitare nata su impulso della Nato in chiave antisovietica. Sono gravide di questi riferimenti le minacce di morte raccontate, quando, “dopo dieci anni, il pozzo si è prosciugato”. Le confessioni fiume rese dall’imprenditore di Corato (Bari) Flavio D’Introno dicono di una paura piena, ma anche di depistaggi e di una fuga all’estero ben architettata, il “sistema Albania”. Le sue parole ricostruiscono gli ingranaggi del presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e inchiodano il magistrato Michele Nardi, almeno stando alle oltre 800 pagine di ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Lecce Giovanni Gallo. Ieri, sono state eseguite le misure di custodia cautelare in carcere a carico suo e dell’ex pm di Trani Antonio Savasta, oltre che di un ispettore di polizia. Tra le misure interdittive notificate, una è a carico del noto imprenditore Luigi Dagostino.

LE MINACCE DI MORTE E LO SPAURACCHIO GLADIO
“Disse che se io parlo allora mi doveva far ammazzare da questi dei servizi segreti, tanto lui a Lecce era molto potente, conosceva gip, capo procura, conosceva tutti, disse: ‘Tu sei un morto che cammina se parli’, disse”. Così D’Introno ricostruisce lo “stillicidio” durante gli interrogatori, perché Nardi ci andava giù pesante quando lui non era disponibile: “Quando faccio vedere la tua foto – gli avrebbe detto – faccio uscire a uno e viene qua… io ho i contatti con i servizi segreti. Ho sentito “Inzerrillo” disse su un altro procedimento penale della struttura Gladio”. Lo ribadisce più volte: “Nardi mi ha minacciato di morte dicendosi capace di fare del male sia alla dottoressa Licci (la pm, ndr) che a me che al luogotenente Santoniccolo per il tramite dei servizi segreti deviati”. Così Flavio D’Introno s’è deciso a parlare. Inizialmente, riferisce solo dei suoi rapporti con Nardi, cerca di tener fuori Savasta, in virtù del “patto d’onore” tra loro. Pian piano, però, si apre e delinea i contorni di quella che lui stesso definisce “associazione a delinquere” finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, accusa che per il gip ha sostanza.

L’imprenditore 46enne fa di più: per dare maggiore riscontro alle sue dichiarazioni, nell’autunno scorso prende a registrare con lo smartphone i colloqui al bar e altrove. A tratti i rapporti si invertono. Savasta evidentemente ha seri timori: lo invita a non dire nulla di loro e gli promette 50mila euro per fuggire alle Seychelles. È il “prezzo del silenzio di D’Introno – è annotato nell’ordinanza – così come emerge il pieno coinvolgimento anche di Nardi nella strategia finalizzata a comprare il silenzio, provvedendo a fornirgli i mezzi per fuggire dall’Italia e rendersi definitivamente irreperibile”. Il 18 novembre 2018, Savasta consegna a D’Introno i primi 1.800 euro a titolo di anticipo, perché “diciamo tu ti rendi conto che dovremmo vergognarci di vivere per quello che uscirà fuori di merda”, gli spiega l’ex pm.

A CIASCUNO IL SUO RUOLO
È l’epilogo di un’organizzazione in cui ciascuno ha il suo ruolo, nella ricostruzione fatta dal pm Roberta Licci e dal procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris: “Nardi è colui che stabilisce le regole organizzative dell’associazione e la ripartizione dei profitti”, “crea i contatti, acquisisce informazioni”; Savasta, “in virtù delle sue funzioni presso la Procura di Trani, concretamente ha il potere di intervenire ed agisce attivando le più disparate iniziative giudiziarie”; Vincenzo Di Chiaro, ispettore presso il commissariato di Corato, “ha il compito di predisporre false relazioni di servizio e comunicazioni di reato, tutte puntualmente ‘canalizzate’ in modo tale da farle pervenire direttamente a Savasta” ed è il trait d’union tra quest’ultimo e D’Introno; Simona Cuomo, nella sua veste di avvocato, “fornisce copertura giuridica alle iniziative concordate”, costruendo anche false denunce. Grazie a questa architettura si sarebbe consumata più volte la svendita della funzione giudiziaria, un “asservimento, e la circostanza rende se possibile ancora più squallida l’intera vicenda, che i due magistrati – scrive il gip – offrono all’imprenditore D’Introno per risolvere i suoi guai giudiziari, imprenditore visto quale una ‘gallina dalle uova d’oro’ a cui spillare denaro e altre utilità in ogni possibile occasione”.

IL SISTEMA DEL 10%
Dalle carte, disseminate di omissis, emerge che i due magistrati hanno tenuto rapporti diretti anche con altri imprenditori, capitolo su cui le indagini sono ancora in corso. Il sistema, comunque, sempre lo stesso: Nardi “pretendeva il 10 per cento su tutte le questioni trattate da altri magistrati grazie alla sua intercessione”. Pur essendo ormai da diversi anni in servizio a Roma, ora come pm e prima nell’ispettorato del ministero della Giustizia, aveva, a quanto pare, porte aperte nella locale Procura: “Nardi – stando a quanto riferito da D’Introno – aveva il tabulato dei turni dei magistrati di Trani ed era in grado di segnalarmi i giorni precisi per fare in modo che le denunce da me presentate andassero direttamente nella competenza di Savasta”. Nardi tornava nella sua città ogni fine settimana e “ogni dieci, quindici giorni io gli consegnavo soldi in contanti, 1000, 2000, 1500”, rivela l’imprenditore.

In un decennio gli avrebbe dato di tutto, come prezzo della mediazione “ma anche con il pretesto di dover comprare il favore di altri giudici”: un viaggio a Dubai da 10mila euro; la ristrutturazione di un immobile a Roma per 120mila euro e di una villa a Trani per 600mila; diverse somme in contanti; un Rolex d’oro dal valore di 34mila euro; due diamanti da 27mila euro ciascuno. Nardi inizia a proporre poi investimenti nella capitale, come due appartamenti in Piazza di Spagna, finiti in una indagine per bancarotta fraudolenta che lui sta seguendo. Di più: gli chiede due milioni di euro, somme che giustifica come necessarie per corrompere altri giudici, ad una settimana dalla definizione del processo Fenerator in cui l’imprenditore è imputato per usura. D’Introno, però, non ha più soldi. E da quel procedimento giudiziario, anche in appello, ne esce con una condanna. Dopo anni di versamenti, inizia a pensare di “essere stato sfruttato senza in fondo ottenere i risultati che gli erano stati garantiti”.

IL TENTATIVO DI DEPISTAGGIO
Nardi a quel punto gli fa paura: vanta amicizie potenti e la capacità di influenzare gli ambienti giudiziari. Del procedimento a suo carico a Lecce, ad esempio, sembra sapere molto sin dall’inizio, grazie ad una talpa (non individuata) nel palazzo di giustizia salentino. Poiché sa – è la motivazione per cui è stata accolta la richiesta di custodia cautelare in carcere – tenta la carta dell’inquinamento probatorio: “In sostanza – spiega D’Introno – lui mi diceva di riferire volutamente durante i contatti telefonici delle circostanze non aderenti alla realtà, per creare delle prove a suo favore che gli servivano per depistare le nostre indagini di cui lui era sempre a conoscenza. In questo modo si garantiva l’impunità o meglio una imputazione più blanda, di cui era stato già rassicurato da sue fonti interne alla Procura di Lecce”. Per lo stesso motivo, Nardi avrebbe orchestrato con l’avvocato Cuomo una strategia tale da rendere Savasta “il capro espiatorio di tutta la vicenda”. Invece, l’imprenditore puntualizza: sì, “erano un tutt’uno” ma “Savasta eseguiva gli ordini di Nardi. Nardi comandava, la parola precisa”.

COME PILOTARE I PROCESSI
Su “mandato di Nardi” e con la collaborazione dell’ispettore Di Chiaro, Savasta avrebbe cercato di pilotare i processi di primo e secondo grado in cui era imputato D’Introno. Lo avrebbe fatto, in cambio di complessivi 300mila euro, con il fuoco incrociato: stando all’impianto accusatorio, si è mosso attivando – pur non essendo titolare del procedimento Fenerator – procedimenti penali a carico di parti offese e testimoni, a mezzo stralcio da suoi procedimenti concernenti persone e vicende del tutto scollegate. Al poliziotto il compito di creare l’input, depositando annotazioni di polizia giudiziaria e informative di reato attestanti false circostanze e supportate da false dichiarazioni rese da due uomini di D’Introno. Tutto con l’obiettivo di minare l’attendibilità delle prove d’accusa a carico di quest’ultimo. L’imprenditore sarebbe stato aiutato anche per fronteggiare cartelle esattoriali per milioni di euro e nel tentativo di un “golpe aziendale” nella Ceramiche San Nicola, una delle più redditizie aziende di famiglia, che avrebbe voluto sfilare dalle mani del padre e della sorella attraverso un continuo attacco giudiziario sferrato da Savasta.

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‘Ndrangheta stragista, l’ex gran maestro: “Attraverso la massoneria i clan hanno occupato le regioni del Nord”

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“Attraverso la massoneria, la ‘ndrangheta ha occupato le regioni del nord”. L’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ha svelato i legami tra le logge e le cosche calabresi. Lo aveva già fatto nel corso di un interrogatorio sostenuto davanti al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al quale aveva spiegato il perché, dopo gli incontri con il procuratore di Palmi, Agostino Cordova, che negli anni novanta stava indagando sulla massoneria, ha deciso di dimettersi dal Goi: “Non riuscivo a credere che quella massoneria che io avevo immaginato e su cui avevo scritto un libro, nella realtà e nella società degli uomini potesse essere qualcosa di completamente diverso”.

Sconcerto che Di Bernardo ha rivissuto nell’aula del tribunale di Reggio Calabria dove è stato sentito come testimone nel processo ’Ndrangheta stragista che vede alla sbarra i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone accusati dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Nella sua deposizione, Di Bernardo spiega il suo ingresso nella massoneria, come è arrivato a ricoprire la carica di vertice e il perché, nell’aprile 1993 si è dimesso da gran maestro: “Cordova riuscì a fornirmi alcuni elementi e alcuni documenti da cui emergeva un aspetto del Grande Oriente d’Italia che io non avrei mai immaginato potesse esistere”.

A quel punto Di Bernardo convocò la giunta del Goi. Ricorda la risposta che il suo vice Ettore Loizzo di Cosenza gli diede sul perché non fece nulla per impedire alle cosche calabresi di avere  contatti con la massoneria: “Avrei messo a rischio la mia vita e quella della mia famiglia. – disse Loizzo – La verità è che 28 su 32 logge calabresi sono controllate dalla ‘ndrangheta”. E fu a quel punto che Di Bernardo comprese “che il Grande Oriente non era più posto per me”.

Segnali di infiltrazione c’erano anche in Sicilia “dove ci fu un fatto che fece tremare un po’ la massoneria: l’arresto del sindaco di Castelvetrano per coinvolgimenti con la mafia”. La situazione della massoneria calabrese, però, era “molto più preoccupante di quella siciliana, in quanto era più ramificata e potente”. “In Calabria – aggiunge – c’era un potere unitario, una mente che regolava al di là di tutti i contrasti che esistevano ed esistono tuttora tra le obbedienze massoniche. C’era un filo conduttore. La massoneria calabrese è più potente di quella siciliana perché ha una visione unitaria”.

Ecco perché, stando al racconto di Di Bernardo, “l’inchiesta di Cordova andava nella direzione giusta”. Quell’indagine però non portò a nulla: dopo il trasferimento del procuratore di Palmi a Napoli, l’inchiesta fu trasferita a Roma dove “due magistrati mi convocarono e mi dissero che non avevano il tempo materiale di istruirla e fu archiviata. Si dice oggi che l’inchiesta è finita perché nulla è stato trovato contro il Grande Oriente. La verità è che è stata archiviata per decorrenza dei termini”.

Fu il suo segretario personale, Luigi Savina, a parlargli dei movimenti separatisti che si affacciavano nel panorama politico italiano all’inizio degli anni novanta: “Mi diceva che c’erano affiliati al Goi che sostenevano i movimenti separatisti. Reggio Calabria era il centro propulsore”. Sul tema stragi, il gran maestro ritiene che tutto si è mosso “all’interno dello stesso contesto” dei movimenti separatisti: “L’idea che mi ero fatto è che c’era qualcuno che tirava le fila all’interno di contesti diversi”. Neanche a dirlo, i contesti erano quello massonico e quello ‘ndranghetista: “Il punto di giuntura penso che sia il rituale. Quello usato in massoneria e quello usato nella ‘ndrangheta hanno una base in comune: il vincolarti al segreto una volta che tu sei dentro. Questo secondo me ha facilitato molto la compenetrazione tra ‘ndrangheta e massoneria”.

Nella parte finale della sua deposizione Di Bernardo ha trattato anche la vicenda di Licio Gelli e dell’elenco, quello vero, della P2: “Licio Gelli è stato inventato dalla Cia, dagli americani. Il governo americano aveva perso fiducia in Moro e Andreotti, e quindi cominciava a temere che in Italia ci potesse essere il sorpasso comunista”. In sostanza il venerabile, secondo Di Bernardo, “era diventato il ‘salvatore’ dell’Italia. Da quel momento Gelli è stato il referente unico ed esclusivo degli americani. Ha avuto montagne di dollari, ma soprattutto il governo americano e la Cia hanno messo all’obbedienza di Gelli i vertici italiani”. L’ex gran maestro, prima del Goi e poi della Gran Loggia regolare d’Italia, si riferisce ai “vertici economici, ai vertici militari e ai vertici della magistratura”. Tutti erano “alla sua obbedienza e li iniziava all’Excelsior di Roma. Quest’uomo all’improvviso si è trovato un potere che, penso, nessun altro ha avuto in Italia”.

Pur avendo la sua base all’interno, Gelli era stato espulso dal Goi prima che Di Bernardo fosse nominato gran maestro: “Dopo la mia elezione mi invio due lettere e mi chiese di essere riammesso. Io le leggo e non faccio nulla. Mi mandò un suo emissario per chiedermi ufficialmente di farlo rientrare. Gelli ritiene che ogni uomo sia comprabile e mi fa fare la domanda: ‘Decidi tu la somma. Fissa tu’. Io gli feci rispondere: ‘Gelli forse ha comprato tanti, ma certamente non comprerà me’. Poco dopo ritorna la stessa persona con un’altra proposta e mi dice: ‘Gelli in cambio del tuo appoggio, metterà a tua disposizione l’elenco vero della P2 con i relativi fascicoli’. Quello sequestrato dalla magistratura è solo parziale. Gelli mi fa dire da questo suo emissario che mi avrebbe dato il vero elenco con i relativi fascicoli. ‘In questo modo potrai ricattare tutta l’Italia’. Il commento è stato questo. Alla fin fine ho deciso di non procedere e quindi la cosa è finita lì”.

Che ci sia un elenco “vero” della P2, Di Bernardo lo ha riscontrato anche da un altro episodio che gli è stato riferito dal segretario personale del gran maestro Battelli: “Mi dice che una sera Gelli si presenta nello studio del gran maestro Battelli con un grosso fascicolo e gli dice: ‘Questo è l’elenco della P2’. Battelli comincia a sfogliarlo e, come sostiene il suo segretario, ‘diventa di tutti i colori’. Batelli dopo aver letto chiude e gli dice a Gelli: ‘Riprendilo, questo io non l’ho mai visto’. Tutto questo avviene molti anni dopo che la loggia P2 era stata sciolta. Gelli voleva rientrare nel Goi perché aveva capito che con il canale massonico avrebbe potuto muoversi dappertutto. Gelli senza massoneria valeva poco. Con la massoneria avrebbe potuto riaprire i suoi contatti internazionali. La sua richiesta era per rafforzare il suo potere affaristico. Non rientrò mai nel Goi”.

 

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‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, negli atti l’intreccio tra i clan e la massoneria: ‘Volevano affiliare i politici locali alle logge’

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Tra le Alpi si rivede, in scala ridotta, una dinamica sofisticata, di quelle presenti in Calabria e in Sicilia (soprattutto a Trapani) finite sotto la lente della Commissione antimafia. L’intreccio tra criminalità organizzata e massoneria si stava riproponendo anche nel Nord d’Italia, ad Aosta. Protagonisti alcuni personaggi importanti della locale di ‘ndrangheta smantellata mercoledì dai carabinieri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino nell’ambito dell’operazione “Geenna”.

Loro sono Antonio Raso e Nicola Prettico. Il primo è considerato dagli inquirenti uno dei capi della locale anche per il suo ruolo di collegamento con la politica aostana. Il secondo, invece, è un “partecipe”, ma ha una caratteristica: è stato eletto al consiglio comunale di Aosta nel 2015. Entrambi hanno l’interesse per grembiulini, squadre e compassi, riti e riunioni segrete. “Quel che va subito sottolineato però – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – è come l’affiliazione alla massoneria di alcuni dei partecipanti del locale di Aosta rappresenti un ulteriore elemento di collegamento con esponenti che ricoprono ruoli di rilievo nel settore economico, imprenditoriale e politico sia della società civile valdostana, sia al di fuori dei confini regionali”.

I fatti avvengono nell’estate 2015, dopo l’elezione di Prettico. Ruotano intorno a Giuseppe Scidone (non indagato), calabrese di Palmi residente a Mentone, dove – annotano i carabinieri – ha costituito il circolo “Garibaldi”, ufficialmente un’associazione per assistere gli italiani in Francia, ma forse più probabilmente una loggia massonica, crede la polizia transalpina. È stato responsabile della Gran Loggia del Gibuti, poi membro della loggia “Janus” a Mentone e infine della “Merouge” di Monaco, legate alla Gran loggia nazionale di Francia e in rapporti con il Grande oriente d’Italia. Da qui, però, si sposta ad Aosta, dove fonda un’obbedienza tutta sua, la “Gran Loggia Non Nobis”, dal motto dei cavalieri templari di cui Scidone si dice appartenente.

Scidone vuole far affiliare alla sua loggia il consigliere comunale, ma lui – vista l’esclusione del suo amico, Vincenzo Marrapodi (ex sindaco di San Giorgio Morgeto, Reggio Calabria) – non accetta. Chi accetta, invece, è Raso che il 19 settembre, dentro una taverna nel centro città, diventa cavaliere dell’Ordine mondiale dei templari insieme a Paolo Contoz, ex consigliere regionale della “Stella alpina”. Sempre lì il giorno dopo “avveniva la costituzione della loggia massonica Aosta n. 1 San Fantino dell’obbedienza massonica ‘No Nobis’”, a cui partecipavano Scidone, la compagna, Raso e Domizio Cipriani (Gran priore dell’ordine cavalleresco) “citato con il suo inconfondibile nome” e inoltre “probabilmente Contoz”. Tutto a norma, secondo il gip: “Allo stato non vi sono elementi per ritenere che la loggia massonica della quale fanno parte alcuni degli indagati abbia le caratteristiche delle associazioni segrete vietate”, quelle citate dalla “legge Anselmi”.

Dopo la creazione di questa loggia, il presunto boss e il massone volevano “affiliare nuovi massoni, cercandoli tra personaggi influenti dell’amministrazione e della classe politica regionale”. Prettico, invece, cerca di restare in una loggia del Grande Oriente (la principale obbedienza massonica) e spiega a un altro fratello massone (Gianluca De Lucia, della Gran Loggia di Gibuti, non indagato) che vuole ricominciare a Torino: “Voglio ripartire con un po’ più di serietà”.

Anche in questo ambito – è scritto nell’ordinanza – la locale di Aosta si muoveva secondo “schemi ricorrenti per le compagini di criminalità di stampo mafioso” che vogliono creare “legami con detta associazione segreta” fortificando il sodalizio “mediante soggetti loro stessi vincolati a regole interne di solidarietà e segretezza”. Questo meccanismo era stato notato anche dalla commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura che aveva studiato i legami tra mafie e massoneria a partire dai casi della Sicilia e della Calabria. Grazie ai militari della Guardia di finanza, la commissione aveva acquisito gli elenchi (incompleti) degli iscritti e fatto compiere degli accertamenti. “La disamina ha dimostrato la presenza di un non trascurabile numero di iscritti alle logge (circa 190) coinvolti in vicende processuali o interessati da procedimenti di prevenzione, giudiziari o amministrativi”. Non erano tutti.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Formulo la presente in nome e per conto del sig. Scidone Giuseppe, il quale mi ha conferito specifico mandato al fine di tutelare i suoi diritti nei confronti della testata giornalistica in indirizzo, per significare quanto segue e per invitarVi a pubblicare con la stessa evidenza e con lo stesso rilievo la rettifica del mio assistito alle notizie divulgate
Come detto, nel contenuto dell’articolo in oggetto, si ravvisano delle inesattezze che, ove non rettificate possono arrecare pregiudizi per la sua posizione sociale ed un danno di immagine alla sua persona. L’appartenenza del sig. Scidone all’Ordine Massonico e Templare è pacifica ed è ben evidenziata anche sul web. Ciò posto, si segnala che il sig. Scidone non ha mai fondato alcuna obbedienza in Aosta e che non ha mai fatto parte della “Gran Loggia Non Nobis” né come membro né come fondatore, in quanto egli fa parte di una obbedienza “regolare” (riconosciuta dall’Inghilterra).
Allo stesso modo, non ha mai partecipato alla costituzione della loggia massonica Aosta n. 1 San Fantino dell’obbedienza massonica “No Nobis”. In verità, il Sig. Scidone all’epoca dei fatti ha ricevuto una legittima richiesta di informazioni tecniche su come procedere per formare una Commanderia (non un’obbedienza) in Aosta.
Lo stesso ha fornito le notizie e l’assistenza richieste, spinto dalla sua forte e sincera passione verso quest’Ordine Cristiano della cui appartenenza va fiero. Per completezza: il progetto per la costituzione della Commanderia prevedeva che i candidati avrebbero dovuto provare la propria specchiata moralità fornendo dei documenti come: curriculum, certificato penale, foto, lettera di motivazione, nonché sottoporsi a un’inchiesta che ogni obbedienza prevede prima di accettare qualcuno. Alla luce di quanto sopra, chiedo che la testata giornalistica in indirizzo voglia chiarire le suddette
circostanze con il medesimo risalto dell’articolo in questione.

Prendo atto della lettera dell’avvocato che fornisce particolari sulla costituzione della commanderia dei templari ad Aosta. Per quanto riguarda la costituzione della loggia Aosta 1 San Fantino, l’informazione è riportata nell’ordinanza di custodia cautelare in cui viene riepilogata un’intercettazione in cui Scidone (in cui spiega a Nicola Prettico l’inizio dell’attività per la costituzione della “Gran Loggia”) e l’attività investigativa dei carabinieri compiuta il 20 settembre 2015, il giorno dopo la costituzione della commanderia. A.G.

Aggiornato il 3 febbraio 2019 alle ore 16.38

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La Confessione, Gomez a Gratteri su Nove: “Cos’è la ‘Santa’?”. “Salto di qualità della ‘ndrangheta verso potere reale”

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Nicola Gratteri è l’ospite de “La Confessione” di Peter Gomez venerdì 8 marzo alle 22.45 su Nove. “Esiste la ‘ndrangheta e poi esiste una cosa che si chiama ‘Santa’, che cos’è?”, chiede il giornalista al Procuratore della Repubblica di Catanzaro, impegnato in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata. “La Santa è lo spartiacque tra la vecchia e la nuova ‘ndrangheta – spiega il magistrato – Nata nel ’69-’70, consente la doppia affiliazione di un ‘ndranghetista, cioè far parte della ‘ndrangheta e partecipare a una loggia massonica deviata“. Nel concreto, vuole dire che entrando nella loggia massonica, “un ‘ndranghetista è in grado di avere contatti diretti con i quadri della pubblica amministrazione”. Gratteri rievoca un episodio di alcuni aqnni prima: “Un collaboratore di giustizia mi ha detto che all’orecchio del Gran maestro c’erano tre incappucciati e tra questi c’erano anche dei magistrati. Quindi capite il grande salto di qualità della ‘ndrangheta, che cosa voglia dire essere un ‘santista’”. E se un santista viola le regole? “Si deve avvelenare – racconta il procuratore calabrese – Infatti nel rito di affiliazione della dote della Santa, gli si dà anche una dose di veleno“.

“La Confessione” (12 episodi per 30’) è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia ed è disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play). Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Trapani, loggia massonica segreta. Arrestato ex presidente dell’Ars, nello spot parlava di: “Politica responsabile”

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C’è anche l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana ed ex deputato nazionale di Forza Italia Francesco Cascio, tra i 27 arrestati dell’operazione “Artemisia” dei carabinieri su una loggia massonica segreta a Castelvetrano che avrebbe condizionato la pubblica amministrazione e le indagini della magistratura. Cascio è stato posto ai domiciliari.

Francesco Cascio, 55 anni, dipendente dell’Asp di Palermo, esponente di primo piano di Forza Italia, ha ricoperto la carica di presidente del Parlamento siciliano dal 2008 al 2012; è stato anche deputato nazionale nel ’94 e nel ’96.  Il politico siciliano era stato anche coinvolto in un’inchiesta per voto di scambio nelle elezioni regionali del 2012. Nell’ottobre del 2016 era stato condannato in primo piano dal Gup di Palermo, con il rito abbreviato, a due anni e 8 mesi e sospeso dall’Ars per effetto della Legge Severino. Nel dicembre di due anni fa era stato assolto e riabilitato.

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Loggia segreta a Trapani, i massoni riservati sapevano delle indagini: “Ci sono 23 avvisi di garanzia ”

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“Secondo me ha parlato quello là, come minchia si chiama..Tuzzolino”. I magistrati indagavano ma i massoni “riservati” sapevano già tutto. Per questo la frase è rientrata tra le centinaia di intercettazioni raccolte dai carabinieri nell’ambito del blitz che ha svelato l’esistenza di un associazione segreta a Castelvetrano, in provincia di Trapani. A parlare era il commercialista Gaspare Magro intercettato al telefono con Giovanni Lo Sciuto, ex deputato all’Ars e uomo di punta del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Entrambi erano iscritti alla loggia massonica Hypsas, tra gli elenchi del Centro sociologico italiano e da stamattina si trovano in carcere. I due fanno parte della stretta cerchia di persone che – secondo le indagini – avevano costituito una piccola loggia coperta, senza nome e senza sede. A margine delle logge regolari.

Il gip ha riconosciuto l’appartenenza all’associazione segreta di almeno otto persone. Oltre a loro due ci sono l’ex consigliere comunale Giuseppe Berlino, il poliziotto Salvatore Passanante, l’ex vice sindaco Enzo Chiofalo, l’ex sindaco Felice Errante e l’attuale candidato Luciano Perricone. Inoltre la Procura aveva chiesto anche l’arresto di un avvocato, Vincenzo Salvo del foro di Marsala (cognato di Magro) che difende molti tra complici e familiari del latitante Messina Denaro. Si incontravano in “apparenti convegni culturali” ma “le decisioni di maggior rilevanza avvenivano durante cene, serate conviviali e incontri alla pizzeria Myros”, prima di proprietà di Passanante e poi ceduta a Rosario Allegra, cognato del boss di Castelvetrano.

Nel novembre 2016 Lo Sciuto aveva appreso dell’esistenza di un’indagine riservata su suo fratello Antonino. “Ci sono ventitre avvisi di garanzia per la massoneria”, gli rivelava un tale Arturo Corso che aveva appreso della notizia da un carabiniere di Mazara del Vallo e aggiungeva: “C’è pure tuo fratello!”. Il blitz era davvero imminente  “Tra l’altro – dice Corso – i giudici lo sai perché non lo fanno? Perchè sono tutti massoni!”. Il politico castelvetranese attivava i suoi canali ma la prima decisione era quella di imporre al fratello e a Gaspare Magro la cancellazione dalle logge massoniche d’appartenenza. “Il problema lo sai qual è – diceva Lo Sciuto parlando con Magro – colpiscono lui e mettono in evidenza a me, hai capito o no? Il problema qua non è che sono io, per mezzo mio c’è lui, hai capito?”.

Secondo i due, l’indagine era di competenza della Dda di Palermo che “ipotizzava un legame “mafia-massoneria” basato sulle dichiarazioni dell’allora collaboratore di giustizia Giuseppe Tuzzolino”. Adesso il collaboratore si trova ai domiciliari in seguito a una condanna per calunnia e non fa più parte del programma di collaborazione. Il gip di Caltanissetta lo definì un “bugiardo patologico” perché aveva riferito di alcune minacce d’attentato che poi si erano rivelate false. All’inizio della sua collaborazione, nel 2013, Tuzzolino era stato ritenuto credibile poi il capo della procura di Palermo, Francesco Lo Voi parlò di “riflessioni dei due gruppi Dda Trapani e Agrigento che non avevano visioni unitarie sulla attendibilità di Tuzzolino”.

Di Tuzzolino ha parlato ai magistrati un massone ed ex consigliere comunale di Partanna, Nicola Clemenza, uno tra le persone più fidate di Lo Sciuto. “Conosco l’architetto Giuseppe Tuzzolino che io avevo conosciuto e visto circa tre volte nelle circostanze di cui dirò. Fu il dottor Gioia (Giuseppe Gioia, presidente del Centro sociologico Italiano e Gran Mestro della loggia Federico II operante a Trapani ndr) a informarmi, sorpreso e amareggiato, che Tuzzolino era stato arrestato, esclamando con rabbia: “Ma questi di Agrigento non si informano sulle persone?”. Nell’interrogatorio reso ai pm Clemenza aggiunge che “Tuzzolino era un affiliato della stessa obbedienza in provincia di Agrigento e si occupava di grossi lavori pubblici e privati. L’ho visto anche in un convegno sulla massoneria a Venezia poi si fece trasferire nella loggia di Castelvetrano e in un occasione mi disse che stava aprendo un locale, tipo Wine Bar, negli Stati Uniti, a New York. Gioia mi disse che Tuzzolino aveva portato a Castelvetrano un altro soggetto di Agrigento, tale Carmelo Vetro”.

Ed è sintomatico che proprio Tuzzolino tra il 2014 e il 2015 parlò dell’esistenza di una loggia coperta che a Castelvetrano tutto decideva, nella quale venivano perfino effettuate delle bonifiche da alcuni investigatori in servizio. E tra le decine di nominativi forniti ai magistrati (soprattutto a Marcello Viola e Teresa Principato, all’epoca rispettivamente procuratore capo a Trapani e procuratore aggiunto a Palermo, entrambi a processo a Caltanissetta, anche per l’invio di una pen drive contenenti le dichiarazioni di Tuzzolino) c’erano quelli dell’avvocato Vincenzo Salvo e del cognato Gaspare Magro, che –  lavorando nello studio del commercialista Victor Di Maria – era riuscito ad agganciare perfino l’ex deputata Simona Vicari, per farsi nominare nel collegio sindacale dell’Asp. E tra nomi e fatti rivelati ai magistrati c’era anche Giovanni Lo Sciuto tanto da fargli dire “perchè se io sapevo questo fatto di Tuzzolino che io c’ero nel mezzo, ti avrei detto a te un anno e mezzo fa di uscirtene” aggiungendo “stu fatto di Tuzzolino che stai, mi tengono sottobanco, invece è una cosa grave, ricordatelo!”.

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Loggia segreta a Trapani, una talpa nella segreteria di Alfano al Viminale. E quella rete di raccomandazioni in Ncd

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Per una borsa di studio all’Università aveva a disposizione direttamente il rettore. Per un posto da funzionario al ministero dei Beni Culturali puntava direttamente sul sottosegretario. Nominare uno dei revisori dei conti dell’Azienda sanitaria provinciale? Aveva cercato di fare pressione direttamente sullo staff del ministro della Salute. E poi ovviamente il ministro dell’Interno al quale avrebbe chiesto – tra le altre cose – un favore pesante: promuovere un poliziotto a lui fedele nei servizi segreti. Ed è proprio dal Viminale che sarebbe uscita la notizia dell’indagine in corso. Piaceri, raccomandazioni, pressioni e persino violazioni di segreto. Sullo sfondo un simbolo, sempre lo stesso: quello del Nuovo centrodestra, il partito creato da Angelino Alfano. Nata da una scissione del Pdl, fondamentale per i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, la formazione moderata è durata soltanto quattro anni, scomparendo dopo le politiche del 2018. Alfano non si è ricandidato e adesso fa l’avvocato a Milano, mentre i suoi colonnelli sono in gran parte tornati con Forza Italia. Almeno quelli rimasti in libertà.

L’arrestato e il mondo di Alfano – Non è tra questi Giovanni Lo Sciuto, l’ex deputato siciliano arrestato nell’ultima inchiesta della procura di Trapani. Una provincia difficile quella di Trapani, terra di mafia e massoneria, due mondi che si compenetrano nella città da cui viene Lo Sciuto: Castelvetrano, la stessa del superlatitante Matteo Messina Denaro. Era proprio per una vecchia foto in compagnia dell’ultima primula rossa di Cosa nostra che Lo Sciuto aveva acquistato notorietà nazionale. Una foto che aveva fatto rumore proprio perché vicino al futuro boss delle stragi compariva il politico nel frattempo eletto nella commissione regionale Antimafia. Poi nulla: Lo Sciuto non era evidentemente un politico di primo piano. Eppure poteva contare su una ragnatela di relazioni ramificata ai livelli più alti della politica nazionale. E non solo perché aveva creato un’associazione segreta all’interno di una loggia massonica. A leggere le più di milleduecento pagine di ordinanza del gip Emanuele Certosimo, si scopre che il potere maggiore Lo Sciuto lo aveva conquistato grazie agli stretti legami col mondo politico di Alfano.

Il segretario di Alfano accusato di rivelazione di segreto – E infatti, nell’inchiesta che ha portato all’arresto di 27 persone è finito indagato Giovannantonio Macchiarola, ex segretario particolare di Alfano al Viminale. La procura di Trapani lo accusa rivelazione di segreto istruttorio perché avrebbe riferito l’esistenza dell’indagine in corso a Francesco Cascio, il luogotenente di Ncd in Sicilia, già presidente dell’Assemblea regionale siciliana: è finito ai domiciliari per favoreggiamento. Figlio di un ex dirigente locale del Pdl, vicino agli ambienti di Comunione e liberazione, Macchiarola è originario di Agrigento: la stessa città che ha dato i natali ad Alfano. Ed è proprio al seguito del potente concittadino che si sviluppa la sua carriera. Nel 2008 Angelino diventa guardasigilli e chiama in via Arenula il giovanissimo Macchiarola per fargli da segretario particolare: sono i tempi burrascosi del lodo Alfano poi dichiarato incostituzionale, culminati con le dimissioni da ministro e la nomina a coordinatore nazionale del Pdl. Anche al vertice del partito del predellino Alfano decide di portare con sé il giovane avvocato, poi confermato segretario particolare nell’esperienza da ministro dell’Interno nei governi di Enrico Letta e Matteo Renzi. Quindi, con il passaggio di Alfano alla Farnesina, Macchiarola ottiene un incarico di tutto rispetto: va a dirigere la divisione Security dell’Eni.

Una talpa al Viminale – Sono gli anni al Viminale, però, a inguaiare Macchiarola.  Per gli investigatori è  “il soggetto di riferimento a livello nazionale per garantire gli interessi di Lo Sciuto”. “Ti saluta Angelino”, dice al politico sotto inchiesta in una delle tante telefonate intercettate. “Io ieri ho parlato con il capo della della segreteria tecnica di Alfano. Minchia: al telefono ho dovuto interromperlo! Gli ho detto: ma che minchia dici al telefono…poi ne parliamo di presenza!”, si arrabbia a un certo punto il politico arrestato, temendo di essere intercettato. Macchiarola, però, l’avrebbe tranquillizzato. “Quello mi ha detto: perchè, Giovanni, tu che problemi hai? Quelli sanno tutte cose. Capito cosa ha voluto dirmi? Mi ha voluto dire: Noi siamo informati su chi sei tu, se possiamo parlare o non possiamo parlare. Minchia, quelli sono Ministero degli Interni! Quelli si collegano...Il Ministro degli Interni ha le schede di tutti gli italiani. O no?”.  Secondo le accuse a un certo punta Macchiarola riferirà a Cascio che “Lo Sciuto era iscritto nel registro degli indagati, nonché che era in quel momento ancora intercettato e che le indagini erano condotte dall’Arma dei carabinieri”. Per gli inquirenti sarà poi Cascio a riferirlo a Lo Sciuto. “Ma a lui gliel’ha detto Angelino?”, dice un collaboratore al politico. Che rispondeva: “No, gliel’ha detto quello, Giovannantonio”. “Va beh, può essere pure che… Alfano giustamente è Ministro, quindi può essere che ad Alfano glielo ha detto qualcuno dice: vedi che … nel tuo gruppo c’è tizio che è sotto controllo”, aggiunge Lo Sciuto. Per il gip non c’è dubbio che ci fosse una talpa al Viminale: “Quali che fossero le ipotesi investigative alla base del procedimento penale, del dato era venuto a conoscenza Alfano Angelino nella duplice veste di Ministro dell’interno e di Presidente del Nuovo Centrodestra. Il ruolo istituzionale ricoperto dall’allora titolare del Viminale, infatti, gli aveva permesso dì avere contatti con soggetti terzi, i quali lo avevano reso edotto del fatto che un deputato della propria corrente politica era oggetto di indagini da parte della magistratura. Tale notizia era stata commentata da Alfano con il suo entourage, dando il via alla comunicazione della stessa da parte di Macchiarola Giovannantonino (capo della segreteria particolare del ministro) a Cascio Francesco”.

“Parla col ministero, parla con la Lorenzin” – Ma non solo. Perché Lo Sciuto utilizzava i suoi contatti anche per altro. Soprattutto per concedere favori e raccomandazioni ai suoi uomini. Come quando voleva nominare un suo fedelissimo revisore dei conti all’Asp di Trapani. Una nomina che da qualche mese era di pertinenza del ministero della Salute, in quel momento guidato da Beatrice Lorenzin, altra esponente di punta del partito di Alfano. Scrive il gip: “Era proprio sul membro di nomina del Ministero della Salute che si doveva innestare l’intervento di Lo Sciuto, e in tale ambito si stava muovendo per attivare i propri canali politici regionali (Cascio Francesco) e nazionali. Cascio, infatti, riferiva di aver appreso casualmente del mutato orientamento normativo da un commercialista, ed aveva immediatamente informato Macchiarola per avviare i contatti con il Ministro della Salute Lorenzin Beatrice, anch’essa di area Ncd, per perorare la nomina di un soggetto da loro indicato. In ordine al soggetto da presentare, Cascio riferiva al Lo Sciuto di far preparare al suo ‘protetto’ un dettagliato curriculum”. L’intercettazione di Cascio sembra confermare la linea degli investigatori: “Allora ho chiamato Macchiarola e gli ho detto: Vedi che c’è questa novità, per cui parla con la Lorenzin…parla con il Ministero della Salute“.

“Abbiamo il sottosegretario ai Beni Culturali” – Lo stesso schema si ripropone quando il politico di Castelvetrano deve muoversi per favorire la figlia di Rosario Orlando, responsabile del Centro Medico Legale dell’Inps: è il medico dal quale ha ottenuto la concessione di circa 70 pensioni di invalidità per i suoi elettoriIn pratica la figlia di Orlando deve vincere un concorso da funzionario al ministero dei beni culturali. Dove la sottosegretaria era Dorina Bianchi, anche lei in quota Ncd (e non indagata così come Alfano e Lorenzin). “Lo Sciuto – spiega il giudice – garantiva l’ottenimento di una borsa di studio presso l’Università degli Studi di Palermo, interessamento finalizzato al superamento del Concorso per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di 500 funzionari anche attraverso l’intercessione tramite il capo segreteria particolare del Ministero dell’Interno Macchiarola Giovanniantonio e il sottosegretario ai Beni Culturali Dorina Bianchi“. “Abbiamo il Sottosegretario ai Beni Culturali, capito? E glielo dò personalmente ad Alfano”, dice il politico riferendosi al curriculum della giovane. Il premuroso genitore non era molto fiducioso:” Eh ma… sottosegretario…ma ai quiz come minchia si passa?”. “Io glielo do, e vediamo cosa dice. Noi ci proviamo. Io la cosa che ti posso dire è che mi impegno e che  glielo faccio avere. Dopodichè vediamo quello che succede”. Quindi Lo Sciuto chiede: “Ma perché non le hai fatto fare la ricercatrice qui all’Università? Il concorso…Avevamo a quello”. Per gli inquirenti “quello” è Roberto Lagalla, ex rettore dell’Università e ora assessore regionale della giunta di Nello Musumeci: in passato vicino pure lui ad Alfano, è tra gli indagati dell’inchiesta. Ma per il gip doveva essere arrestato: “Nessuna richiesta è stata avanzata nei confronti e di conseguenza non può esser applicata l’opportuna misura cautelare”.

Un poliziotto massone per cercare Messina Denaro – Ma Lo Sciuto, piccolo politico che viene dalla provincia, non ha contatti solo con le alte sfere del suo partito. Sostiene di avere un canale diretto con il ministro dell’Inter. Talmente stretto da poter chiedere un favore importante ad Alfano: la promozione nei servizi segreti di un poliziotto a lui fedele. Si tratta di Salvatore Virgilio, già assistente della Dia di Trapani: è finito agli arresti per aver l’esistenza di indagini riservate.  Puntava ad essere chiamato all’Aisi, l’Agenzia di informazioni per la sicurezza interna. “Ora appena vedo Alfano ci parlo io personalmente. Capito?”, lo rassicura Lo Sciuto. Spiegando, però, che intende chiedere quella cortesia poco prima delle elezioni. “Tra sei mesi, un anno perché loro sotto le elezioni…l’ultimo anno si sbragano di più perché si devono preparare per loro”, dice riferendosi alle politiche del 2018. Virgilio non è l’unico poliziotto arrestato con Lo Sciuto: c’è anche  Salvatore Passanante, responsabile della Sezione polizia giudiziaria del commissariato di Castelvetrano. Era iscritto in maniera occulta a una loggia massonica. Talmente occulta che al suo commissariato non risultava. Passanante, il poliziotto massone, faceva parte della squadra di investigatori che dà la caccia a Messina Denaro. L’ultimo superboss di Cosa nostra è latitante dal 1993, ventisei anni esatti. Forse non è un caso.

Twitter: @pipitone87

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La Confessione (Nove), Gomez a Costanzo: “Si scoprì che era nella P2 e si diede del cretino”. “Sono stato un superficiale”

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Il giornalista e conduttore tv Maurizio Costanzo è l’ospite de “La Confessione” di Peter Gomez venerdì alle 22.45 su Nove. Il direttore de Ilfattoquotidiano.it riavvolge il nastro al 17 marzo 1981, quando la Guardia di finanza scopre a casa di Licio Gelli (Villa Wanda, a Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo, ndr), l’elenco degli iscritti alla Loggia massonica P2. “Questo è Licio Gelli. Parliamo della P2. Quando vengono scoperti gli elenchi lei inizialmente nega l’appartenenza, poi in un’intervista a Giampaolo Pansa, dopo pochi giorni dopo, ammette e dice: ‘Un gruppo di farabutti e cretini come me’. Innanzitutto, perché un cretino?”, chiede Gomez. “Un cretino perché non me ne sono accorto, perché sono stato molto leggero, perché ero in una stagione della mia vita, ero piuttosto giovane, dove non avevo alcun tipo di attenzione e quindi sono stato un cretino – spiega l’inventore del Maurizio Costanzo Show – Sono stato però felice di aver telefonato a Eugenio Scalfari dicendo: ‘Mi ospiti? Mi fai fare un’intervista?’ (su La Repubblica, ndr) e lì mi sono liberato. Sono stato ampiamente insultato da altri della lista per aver fatto l’intervista, ma non me ne frega niente“.

“La Confessione” (12 episodi per 30’) è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia ed è disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play). Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Università Teramo, il convegno che celebra 300 anni di massoneria lo paga l’ateneo. I relatori? I gran maestri

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“Per la prima volta in assoluto un gran maestro viene chiamato a tenere una lectio sulla massoneria nell’università pubblica italiana. Un convegno che è celebrativo e non scientifico“. All’università di Teramo i docenti sono in subbuglio per la decisione, già deliberata da Senato accademico e cda, di organizzare il 16 aprile il convegno Trecento anni di storia della Massoneria. La Gran Loggia d’Italia. Inizio 9.30, intervento di chiusura tre ore dopo. Spiccano tra i relatori i vertici della Gran Loggia d’Italia, il secondo ordine italiano per iscritti (circa 8 mila), dopo il Grande Oriente (Goi): Antonio Binni, avvocato civilista classe 1937 e Gran maestro, e Luciano Romoli, Gran maestro vicario della stessa loggia. A proporre la giornata al Senato accademico è stato il rettore dell’Università di Teramo, l’agronomo Dino Mastrocola, che oltre a essere presidente dello stesso Senato lo è anche del cda che delibera spese e stanziamenti. Quindi anche il costo dell’evento: 2mila euro. “È tantissimo, sono soldi dell’università, in questo caso del dipartimento di scienze politiche – spiega una fonte dell’Università di Teramo a ilfattoquotidiano.it -. E pensare che noi per fare convegni di spessore non abbiamo a disposizione più di 500 euro”. L’evento, ha deciso il rettore, avrà luogo nella sala delle lauree, la più importante di tutto l’ateneo “anche sul piano simbolico. Dove si laureano i nostri ragazzi vedremo parlare i massoni”.

Alcuni professori, che si dicono “sconcertati dall’irritualità dell’evento”, pensano in queste ore anche a sollecitare un’interrogazione parlamentare. “In passato eventi di questi tipo, cioè di eventi sulla massoneria fatti da massoni legati all’università, hanno trovato una forte opposizione. Qui, al momento non sta succedendo”. A Genova, ad esempio, nel 2015 erano stati promessi crediti universitari a chi avesse preso parte a una tavola rotonda sulla massoneria, e a Sassari la commemorazione nel 2017  per ricordare il gran maestro sardo Armandino Corona. In quel caso l’ospite d’onore era stato il gran maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi. A chiudere il convegno, anche dopo l’intervento dell’ex deputato di Forza Italia Demetrio Pietro Errigo, c’è Luciano D’Amico, ex rettore dell’ateneo attualmente imputato per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e peculato. Nel primo caso D’Amico è accusato di avere incassato 57mila euro non dovuti tra agosto 2014 e febbraio 2017, visto che essendo presidente del cda dell’Arpa Spa e poi della società regionale dei trasporti Tua Spa, avrebbe smesso di svolgere l’attività di docente a tempo pieno, conditio sine qua non per essere rettore. Il peculato si riferisce invece a dieci tablet di proprietà dell’ateneo consegnati al personale tecnico di supporto al duo comico Ficarra e Picone durante l’evento di orientamento “Welcome matricole” del 2013.

“Sono accuse che anche se venissero confermate metterei in curriculum – dice D’Amico al fattoquotidiano.it -. Sinceramente non capisco tutto questo interesse intorno al convegno. Penso che la massoneria, e lo dico da non massone, faccia parte della storia. Anzi, penso sia un atto di maturità che se ne parli in università, che è un luogo di discussione e dibattito, senza censure. Come si parla di Olocausto o dei grandi temi della storia, si può parlare anche di questo”. D’Amico sottolinea che si tratta di un incontro aperto a tutti e non percepisce ci sia tensione da parte del gruppo docente, visto che l’università “è il luogo migliore per il dissenso“. Ma quei duemila euro stanziati? “Sarà un rimborso spese. Io non percepirò niente, non c’è nessun gettone”. E dare spazio all’evento alla sala delle lauree? “Beh, farlo in garage non mi sarebbe sembrato opportuno. Mi pare eccessiva questa attenzione”. Stesso punto di vista anche Angela Musumeci, prorettore vicario dell’Università e ordinario di diritto costituzionale. “È un evento a carattere scientifico, organizzato da storici. Poco le so dire dell’organizzazione”. Musumeci aggiunge di non percepire nessun imbarazzo all’interno del corpo docente. “Visto il taglio dato all’evento no, non ci sono perplessità se se ne discute scientificamente. Proteste in Senato che ha approvato l’evento non ce ne sono state, altrove non lo so, non sono una sentinella“. E su quei duemila euro? “Evidentemente è la cifra per le spese di viaggio dei relatori”. Ma sono tutti italiani, non vengono dall’Australia e il convegno dura tre ore. “Guardi che anche un aereo costa”.

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Roma, i liceali del Virgilio alla conferenza della massoneria: polemiche dei genitori. Il preside: “Fa parte della nostra società”

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“I ragazzi devono studiare, sapere, conoscere. Solo così potranno essere persone consapevoli. La massoneria? Ha fatto parte della nostra storia e fa parte della nostra società”. E’ “unicamente formativo”, secondo il preside dell’Istituto Virgilio di Roma, Giuseppe Baldassarre, lo scopo dell’incontro facoltativo organizzato presso la sede del Grande Oriente d’Italia, al quale mercoledì pomeriggio parteciperà la classe 4a R del noto liceo classico capitolino. A Ilfattoquotidiano.it, il preside dell’istituto di via Giulia si è detto colpito dal clamore suscitato dalla notizia anticipata questa mattina dalle pagine romane di Repubblica.

“Non c’è alcun intento proselitistico, ci mancherebbe pure – spiega ancora Baldassarre – La partecipazione all’incontro è stato deciso dal consiglio di classe. Parteciperò anch’io proprio a garanzia di tutto. In questi giorni abbiamo preparato la partecipazione alla conferenza, i ragazzi hanno studiato e porranno delle domande ai relatori. Capisco che qualche genitore possa essere allarmato, stiamo anche chiarendo alcuni punti sulla pubblicizzazione dell’evento, ma non c’è di che preoccuparsi: il nostro intento è formare i ragazzi e renderli consapevoli, per poi poter giudicare al meglio”.

La conferenza ‘Conoscere e studiare la massoneria’ si svolgerà mercoledì dalle 15 alle 17 presso Casa Nathan, la sede delle logge romane del Goi, il Grande Oriente d’Italia, intitolata al mazziniano Ernesto Nathan, che oltre ad essere stato Gran Maestro dal 1896 al 1904 fu anche il primo sindaco di Roma non proprietario terriero, dal 1907 al 1913. L’appuntamento è stato organizzato dal professore di Storia e Filosofia, Maurizio Cosentino, che parteciperà alla conferenza in qualità di relatore. I rappresentanti dei genitori si sono chiesti se anche il docente faccia parte di una loggia massonica. 

“Essendo una società segreta, non credo che possa venire a dircelo – scherza Baldassarre – Tuttavia ognuno è libero di fare quello che vuole e non è certo compito del preside andare a questionare sugli interessi dei docenti. Ovviamente purché tutto ciò resti nell’alveo della legalità e della costituzionalità”. A questo proposito, Baldassarre ricorda anche “il problema della P2, per intenderci, non era quello di essere una loggia massonica ma degli scopi sovversivi che avevano i suoi appartenenti”. Per il momento, l’incontro è confermato, anche se in queste ore stanno aumentando le polemiche.

La presidente del Comitato dei genitori, Maria Chiara Morabito, a Repubblica ha detto di essere “personalmente esterrefatta” e che “mi devono spiegare quale sia l’obiettivo di questo incontro”. A tal proposito, Morabito avrà nelle prossime ore un incontro proprio con il preside Baldassarre, mentre nelle chat dei genitori impazzano le preoccupazioni. Il liceo Virgilio, va ricordato è uno dei principali licei pubblici della Capitale, dove negli anni ha studiato ragazzi poi divenuti volti noti nel mondo della politica o dello spettacolo. Negli ultimi tempi l’istituto è finito al centro di varie polemiche, dai crolli di una parte del tetto avvenuti tra fine 2017 e inizio 2018, agli sgomberi delle occupazioni durante le quali, secondo le forze dell’ordine, venivano organizzati rave party a base di droghe psicotrope e veri e propri festini hard. Questa volta, almeno, la polemica sembra limitata all’alveo “didattico”.

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Caos Csm, gli intrecci degli anni bui della Repubblica sono ancora in piedi

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Negli incontri si celano i segreti della Repubblica, ma soprattutto si mettono in funzione gli ingranaggi di quel perverso rapporto tra politica, massoneria, mafia e magistratura che ha reso instabile la nostra democrazia. Seguendo le intercettazioni e le carte del processo di Lecce che ha portato all’arresto dei magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi e individuato altri magistrati coinvolti, ci si accorge ad occhio nudo come questo intreccio che ha caratterizzato gli anni bui della Repubblica sia ancora in piedi, vivo e vegeto, e si muova sempre con gli stessi rituali.

Dagli incontri emersi dalle intercettazioni di Luca Palamara scopriamo che Luca Lotti, Ferri e altri magistrati si incontravano di notte per decidere gli incarichi direttivi da assegnare di giorno. Nelle intercettazioni del giudice Nardi, tuttora agli arresti per corruzione in atti giudiziari nel processo di Lecce, scopriamo che un riferimento essenziale a Roma del magistrato è Cosimo Ferri, parlamentare del Pd, membro del Csm e sottosegretario del ministero di Grazia e Giustizia del ministro Andrea Orlando.

Nardi, come si apprende dalle intercettazioni dei Carabinieri, chiama Ferri – allora sottosegretario – per incontrarlo a proposito di un procedimento disciplinare che lo vede coinvolto e che può nuocere alla sua carriera. Ferri gli dice di passare dal ministero il martedì successivo. Dopo l’incontro Nardi, che ha una linea diretta con la segreteria di Ferri, manda al ministero tutte le carte che a suo dire potrebbero modificare le sorti di quella relazione negativa nei suoi confronti. In queste carte campeggia quello che Nardi definisce in altra intercettazione “asso nella manica”, “carta da giocare al momento giusto”, un parere in suo favore di Arcibaldo Miller.

Chi è Miller? Un magistrato in servizio a Napoli, con il quale questa storia ha una cosa in comune: cene e incontri notturni. Quello di Arcibaldo Miller, per cui verrà indagato insieme proprio a Cosimo Ferri sulla cosiddetta P3, avviene il 23 settembre del 2009. L’incontro si tiene proprio nell’abitazione di Denis Verdini. All’incontro erano presenti Flavio Carboni, Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi, Marcello Dell’Utri (condannato per mafia), Giacomo Caliendo, Antonio Martone. Anche in questo incontro si decidevano cose importanti: le sorti della Regione Campania ed altre questioni su cui l’inchiesta è ancora aperta. Nardi, che ha il padre Vincenzo ex ispettore – come Miller, utilizzato da Bettino Craxi per controllare il pool di Mani pulite – con Miller condivide un’altra passione, per cui lo stesso Miller era stato indagato con archiviazione: la vicinanza ad ambienti massonici, accertata dagli investigatori, e a imprenditori legati alla criminalità organizzata.

In un’intercettazione dei Carabinieri, Nardi parla con un suo amico massone e non si scandalizza minimamente quando questi gli dice: “sto coi capi clan dei Capriati [di Bari, ndr] che devono partecipare a un’asta a Trani…” e quando questi gli dice che potranno aggiustare le cose col giudice a Catanzaro, relativamente al processo pendente contro Nardi, quando l’amico gli dice “in stile ‘ndrangheta”, non batte ciglio. Insomma il meccanismo che sta venendo fuori grazie anche alla legge Spazzacorrotti, alle captazioni e alla professionalità degli investigatori possiede delle costanti che si ripetono, e che rendono l’intreccio politica/magistratura/mafia/massoneria più vivo che mai anche in questi giorni.

Nardi, sapendo già di essere sotto inchiesta per corruzione a Lecce, in un messaggio sms rivolgendosi a Savasta che doveva trasferirsi scrive: ”Sarebbe l’ideale trasferirsi nel distretto di Lecce per liberarsi dalla loro persecuzione”. E Savasta, colto da un attimo di buonsenso e che come Nardi ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione dal Tribunale di Lecce, gli risponde: ”Non posso andarci”. Infatti alla fine Savasta andrà a Roma dove incontrerà Lotti, Ferri, entrando più a fondo nel meccanismo, cui Nardi era giunto per eredità paterna.

Altro elemento fondamentale del meccanismo che viene fuori dalle inchieste è che gli ispettori come Miller e Nardi padre hanno sempre da parte della politica una attenzione favorevole. Miller ottiene da Nicola Zingaretti, l’11 maggio del 2019, un incarico per un Ente regionale di pubblica assistenza a 2mila euro lordi al mese. Va meglio a Nardi padre, che ottenne dal Comune di Trani un incarico dal 2010 al 2018 come consulente in una municipalizzata a 4mila euro lordi, ritoccata negli ultimi quattro anni a 3mila. Un vitalizio di fine carriera.

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