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FqMillennium, in edicola il numero ‘Loggia nostra’. La presentazione di Peter Gomez: ‘Interviste e inchieste su mafia e massoneria”

Massoni e mafiosi uniti fra intrighi e affari. In Sicilia proteggono la latitanza di Messina Denaro, in Calabria spartiscono incarichi e appalti. In almeno 200 circoli riservati i boss tramano con politici, professionisti e funzionari. Il Gran maestro Bisi: “Fratelli che sbagliano”. Ultima scoperta, Ungheria: è davvero la nuova P2?
E poi la gallery: G8 di Genova vent’anni dopo, un po’ mistero un po’ no.

Sabato 10 luglio in edicola con il Fatto Quotidiano
Dall’11 luglio solo FQ MillenniuM a € 3,90

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Cecchi Paone sospeso dalla massoneria: sarà processato dal Grande Oriente d’Italia per la sua intervista a FQ Millennium

Alessandro Cecchi Paone sarà processato. Però non finirà alla sbarra in un tribunale normale. Il suo sarà un processo massonico; al termine del quale potrebbero essere presi provvedimenti disciplinari, dall’ammonizione all’espulsione. Nel frattempo è stato sospeso “da ogni attività rituale”, attraverso un decreto firmato, il 13 luglio, dal Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (GOI), Stefano Bisi. Il motivo? Il noto giornalista, personaggio televisivo e professore universitario (più tanto altro) risulta sotto inchiesta per un’intervista rilasciata al mensile FQ MillenniuM; è dedicata alla storia della sua famiglia e del GOI, la principale obbedienza della massoneria in Italia, e alla sua esperienza come “fratello”, termine con cui si chiamano tra loro i massoni.

L’intervista, ricca di elogi nei confronti dell’organizzazione, è stata pubblicata (ilFattoQuotidiano.it nei giorni scorsi ne ha proposto uno stralcio) sul numero di luglio del mensile. Paone è un testimone importante, perché già nel 2005 aveva esibito orgogliosamente l’appartenenza al GOI. Inoltre nella scala gerarchica è ad alti livelli: come ha spiegato, è “maestro del terzo e ultimo grado della massoneria azzurra, quella generalista”; inoltre è “maestro architetto di un rito di perfezionamento, quello simbolico italiano”. Perché è finito nei guai? Lo stesso giornalista, pur essendo molto sorpreso, per ora preferisce non commentare il provvedimento; per giunta, non conosce nei dettagli i “capi di imputazione”. Di certo, c’entra quella lunga chiacchierata con FQ MillenniuM, sul quale – per altro – compare anche il resoconto di un lungo colloquio con il Gran Maestro Bisi.

Qualcosa, a proposito dell’origine delle accuse, si può desumere leggendo il decreto n. 284/SB, con cui è stata disposta la sospensione. Nel documento, Bisi prende atto delle richieste formulate dal “Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia” e dall’“Oratore del Collegio Circoscrizionale” lombardo, dato che Paone è iscritto alla Loggia 844 “Cinque Giornate” di Milano (una delle 35 logge milanesi e delle 75 in Lombardia). Nel sistema massonico, gli oratori controllano che vengano applicati i dettami della Costituzione del GOI e dei suoi regolamenti. Le loro richieste nei confronti del giornalista riguardano “la violazione, tra l’altro, dell’articolo 29 delle Costituzione”, nella parte in cui si descrivono le prerogative del Gran Maestro: soltanto lui “rappresenta il Grande Oriente d’Italia presso le Comunioni Massoniche Estere e nel mondo profano”, vale a dire nella società italiana, a livello pubblico, mediatico e istituzionale. Poi ci sarebbe stata anche la violazione “dell’articolo 32, lettera “i”, dove si legge che compete esclusivamente al Gran Maestro autorizzare “pubblicazioni ed azioni nel mondo profano riguardanti” la massoneria italiana.

Risultato: “la sospensione da ogni attività rituale” in base all’articolo 32, lettera “m”, della Costituzione dell’Ordine, in vista del processo interno. In altre parole, sembra di capire che Cecchi Paone venga accusato di aver fatto dichiarazioni e di avere espresso opinioni scavalcando il Gran Maestro e la sua autorità. Sarà presumibilmente il Tribunale circoscrizionale della Lombardia a giudicarlo in primo grado, poi eventualmente egli avrà diritto a impugnare la sentenza davanti alla Corte centrale. La persona “incolpata” può farsi difendere da un “Fratello Maestro” o può difendersi da sola. Si rischiano – come verdetti – l’ammonizione, la censura semplice, quella solenne e l’espulsione dal GOI. Ovviamente, sono possibili impugnazioni e revisioni delle sentenze. Vedremo come andrà a finire.

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Alessandro Cecchi Paone sospeso: il rapporto tra mondo profano e massoneria è occulto

Se sei massone devi stare zitto. Punto. Alessandro Cecchi Paone, invece, noto giornalista a cui non fa difetto il protagonismo, è un tipo che parla e parla e parla… Lo ha fatto di recente anche per il numero speciale di FqMillennium sulle logge massoniche, rivelando non solo di essere massone – lo aveva già detto nel 2005 – ma di essere anche un massone di un certo calibro proveniente da una famiglia massonica e prendendosi la scena. Naturalmente cita le origini mazziniane della sua famiglia, come se Giuseppe Mazzini fosse stato un massone – noto refrain – e non un antimassone (si veda i suoi Doveri dell’uomo).

La faccenda non è piaciuta al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi – Paone è iscritto alla Loggia 844 “Cinque Giornate” di Milano, una delle 35 logge milanesi e delle 75 in Lombardia, aderendo al Goi – che, persa la pazienza, non ha nascosto la sua ira chiamando a fare il loro dovere gli organi interni, sospendendo il massone chiacchierone che ha parlato del suo grembiulino rappresentando il Grande Oriente d’Italia nel mondo profano, come fosse lui il Gran Maestro.

Tutta la questione dovrebbe interessarci perché non si tratta di una lite tra condomini ma di qualcosa che ci racconta delle regole massoniche e di come fondamentalmente la segretezza sia qualcosa di invalicabile per questo mondo. La massoneria pretende di rappresentare gli elevati nel mondo, di orientare i profani, di instillare il sapere, attraverso i legami speciali e il circuito reale della “catena”, detta dell’Unione, con cui ogni membro massone è legato agli altri: sembrano ambizioni innocenti, finanche apprezzabili, se non fosse che questo, calato nel semplice mondo profano, significa fondamentalmente l’orientamento degli affari pubblici, l’indicazione e la selezione delle classi dirigenti. Significa la pretesa di dare forma allo Stato nel laborioso silenzio della propria obbedienza.

La segretezza non riguarda solo le logge, ovviamente, ma tutti quei gruppi che pur stando nel mondo con più disinvoltura tuttavia tessono le proprie reti, facendo ben attenzione a non renderle pubbliche: si pensi a Comunione e Liberazione, ad esempio. La sospensione di Cecchi Paone ci parla di questo, del rapporto tra mondo massonico e quello di noi profani: un rapporto occulto, a nessuno è dato scavalcarne i confini.

Da sabato 10 luglio è in edicola il nuovo numero di FqMillennium dal titolo ‘Loggia nostra’

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‘Ndrangheta, 15 condanne nel processo Gotha alla ‘cupola’: all’ex parlamentare Paolo Romeo 25 anni. Assolto l’ex senatore di Fi Caridi

‘Ndrangheta, politica, massoneria e componente riservata delle cosche: nonostante le molte assoluzioni, regge l’accusa nel processo “Gotha”. Dopo quattro anni di udienze, oltre un mese di requisitoria, un mese e mezzo di arringhe difensive e 9 ore di camera di consiglio, è arrivata in aula bunker la sentenza di primo grado.

Il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Silvia Capone, ha condannato a 25 anni di carcere Paolo Romeo, l’avvocato ed ex parlamentare del Psdi ritenuto una delle due “teste pensanti” della ‘ndrangheta reggina.

È senza dubbio lui, secondo la Dda, il principale imputato del processo istruito dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo. Un processo che ha visto impegnata mezza Direzione distrettuale antimafia. I due magistrati, infatti, sono stati affiancati dai sostituti procuratori Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Sara Amerio e Giulia Pantano.

Oltre a Romeo è stato giudicato colpevole anche l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra condannato a 13 anni di carcere. È stato assolto, invece, l’ex senatore di Forza Italia Antonio Caridi per il quale la Dda aveva chiesto 20 anni di reclusione perché accusato di essere stato sostenuto dalla cosca De Stefano e di avere operato “in modo stabile, continuativo e consapevole a favore del sistema criminale”. Nel 2016 Caridi ha scontato anche diversi mesi di carcere dopo che il Parlamento ha concesso l’autorizzazione a eseguire l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti.

È stato assolto anche l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa per il quale era stata chiesta la condanna a 7 anni di carcere.

Riunendo le più importanti inchieste antimafia (“Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio”), eseguite nel 2016 dai carabinieri, dalla polizia e dalla guardia di finanza, “Gotha” è stato il primo maxi-processo alla cupola della ‘ndrangheta dai tempi dell’inchiesta “Olimpia” che aveva portato, tra l’altro, alla condanna definitiva di Paolo Romeo per concorso esterno.

Complessivamente il Tribunale ha condannato 15 imputati e ne ha assolti altri 15. Per 11 di loro, a fine maggio, era stata chiesta l’assoluzione anche dalla Procura. Alla sbarra c’era il “direttorio” della ‘ndrangheta, la “componente riservata” delle cosche che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”. Dal Comune alla Regione passando per la Provincia e la Città Metropolitana, stando all’impianto accusatorio, decidevano tutto gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano (già condannato in appello con l’abbreviato, ndr), “soggetti ‘cerniera’ che interagiscono tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione criminale”.

Per i pm, sono loro che hanno trasformato Reggio Calabria in un “enorme laboratorio criminale”. Quanto emerso dal processo, infatti, è un “sistema di potere ambiguo” che, stando ai collaboratori di giustizia sentiti in aula, è caratterizzato da “promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti istituzionali”. I pm hanno ricostruito “una lunga stagione di sistematica penetrazione del tessuto politico-amministrativo locale, regionale, nazionale e sovrannazionale”.

Sono stati condannati anche il prete di San Luca don Pino Strangio (9 anni e 4 mesi di carcere) e l’avvocato Antonio Marra (e 17 anni di reclusione ), ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo.

Due anni, invece, sono stati inflitti all’ex dirigente comunale ai Lavori pubblici Marcello Cammera che, però, è stato assolto dall’associazione mafiosa, mentre il commercialista Giovanni Zumbo ha rimediato 3 anni e 6 mesi di reclusione. È lo stesso Zumbo, in odore di servizi segreti, che era stato condannato nel processo “Piccolo Carro” per essere stato la talpa dei boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle.

Secondo la Dda, le cosche reggine, e principalmente la famiglia De Stefano di Archi, sono riuscite a infiltrarsi e insinuarsi nelle istituzioni per confondersi con esse. Il processo ha di fatto ricostruito la stagione di centrodestra in riva allo Stretto. Una stagione iniziata nel 2002 con la vittoria alle comunali del sindaco di Giuseppe Scopelliti e conclusa nel 2014 quando l’ex primo cittadino, già eletto presidente della Regione, è stato condannato in via definitiva per i disastri nei conti del Comune di Reggio Calabria che nel frattempo, due anni prima (nel 2012), era stato sciolto per contiguità con le cosche mafiose.

La ‘ndrangheta, in sostanza, ha subito una trasformazione “da interlocutore dell’istituzione a istituzione vera e propria”. Le considerazioni del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo sono state pronunciate durante la requisitoria in aula bunker dove il procuratore Bombardieri il 26 maggio scorso aveva spiegato come “si è trattato di un gioco delle parti andato in scena grazie anche a una diffusa ipocrisia sociale. Un palcoscenico di cui molti sapevano e di cui la maggior parte faceva finta di non sapere”.

“Se la cattiva politica – erano state le sue parole – scende a patti con la ‘ndrangheta gli effetti non potranno essere quelli che si sono visti: una città povera, un’economia senza sviluppo, una delle pressioni fiscali più elevate in Italia, una gioventù in fuga, disillusa, frustrata e depressa”.

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‘Dietro tutte le trame’, il giudice Tamburino ripercorre le sue indagini sulla Rosa dei venti

Giovanni Tamburino è un magistrato di grande, grandissimo valore. Se la sua azione giudiziaria non fosse stata brutalmente interrotta, la storia d’Italia non sarebbe stata così facilmente nascosta sotto una montagna di bugie.

Egli ebbe in sorte, nel 1973, giovane sostituto alla procura di Padova, di ritrovarsi sulle spalle un’inchiesta delicata e pericolosa, quella sulla Rosa dei Venti. Nome che forse oggi dice poco ai più, in realtà faccenda assai seria. Tamburino si trovò di fronte ad una ‘bestia’ cattiva: trattasi, infatti, di una organizzazione militare che arruolava anche civili e che aveva le sue radici negli organismi sovranazionali. Ovvio che non si volesse lasciar lavorare un magistrato che voleva vederci chiaro e che aveva osato incriminare e arrestare il capo dei servizi segreti Vito Miceli, una mossa che determinò la sua sorte, non dell’indagato ma del magistrato: parte della stampa lo mise ‘in croce’, poi, esattamente il 30 dicembre 1974 ,Tamburino si ritrovò in mano il telegramma che annunciava la sentenza della Cassazione: via l’inchiesta da Padova, se ne occupi Roma.

Diciamolo senza giri di parole: allora fu preso per pazzo, scrissero finanche (Ignazio Cantu su Il settimanale edito da Rusconi) che era ‘eterodiretto’ da Alberto Malagugini, illustre giurista e deputato comunista. È un copione noto: gli anni passano ma il modulo è lo stesso quando un magistrato mette le mani sul potere. Pensate che se Tamburino non fosse stato fermato la storia d’Italia sarebbe cambiata, e non suoni come una valutazione ridondante.

Anni dopo, e dopo una importante carriera in magistratura che lo ha portato fino al vertice dell’Amministrazione penitenziaria (2012-14) e prima ancora a far parte del Csm presieduto da Sandro Pertini, Tamburino fa una scelta interessante: prende carta e penna e ripercorre la sua (ormai) vecchia indagine. Alla luce di tutto ciò che è emerso con il tempo e da altre inchieste che hanno confermato poi le sue valutazioni di allora, Tamburino ci offre una lettura di quei fatti che mette insieme società e giustizia – come dice Peppino Di Lello nel suo Giudici – proponendo un libro importantissimo. Dietro tutte le trame, portato in libreria da Donzelli.

Tra i tanti aspetti su cui Tamburino offre la sua lucida riflessione, troviamo proprio la questione del carattere sovranazionale della struttura scoperta nel ‘73. L’intelligence Usa ne era al corrente ma non fu possibile fare alcun accertamento nella caserma Ederle di Vicenza da dove, di sicuro, entrava e usciva l’ufficiale capo della Rosa dei venti, Amos Spiazzi, nome che risuona non certo solo dentro questa vicenda: il carattere extraterritoriale delle zone occupate dalle forze armate Usa lo impediva tassativamente, stessa sorte toccata poi qualche anno dopo alle inchieste del giudice istruttore Guido Salvini che in parte sviluppano anche le intuizioni e i dati raccolti da Tamburino, molto avanzati per l’epoca. Nel senso che Tamburino aveva capito ciò che non era lecito neanche nominare, cioè l’esistenza di una organizzazione di sicurezza destinata a garantire una determinata collocazione politica del Paese, interna e internazionale, e che agiva con modalità illegali, violente e occulte. La Rosa dei Venti, che alcuni chiamavano Organizzazione di sicurezza, altri SID-parallelo, faceva cose da criminali, “rilevanti sotto il profilo penale”, dice Tamburino con il linguaggio essenziale del giurista: in pratica erano una banda armata nel senso del Codice penale.

Il valore dell’attività del giovane magistrato patavino non poteva sfuggire a chi gestiva il livello strategico della destabilizzazione: non solo quella struttura prefigurava Gladio, ma comprendeva una complessa articolazione che ruotando attorno al Sid includeva organismi paralleli, gerarchie miste di militari e civili, un complesso di sigle di copertura, finanziatori, la rete di neofascisti diffusa sul territorio e infine la massoneria individuata come il laboratorio di gestione politica di tutto questo. Tamburino va anche oltre la figura del materassaio di Arezzo: dopo aver ampiamente attinto notizie dalle carte, individua infatti nella figura di Gianfranco Alliata, finanziatore della strage di Portella delle Ginestre, un uomo chiave della seconda metà del ‘900. Già alla fine degli anni ‘40 e fino alla sua morte al vertice di organismi massonici coinvolti nelle trame del secolo trascorso Alliata, estimatore di Gelli nella cui loggia confluì, creò una rete massonica e para-massonica destinata ad essere futuro oggetto di studi e forse nuove rivelazioni.

Siamo sicuri che Tamburino, persona elegante e raffinata, scrivendo questo libro non abbia voluto affatto prendersi una rivincita – e pure ne avrebbe di che… No, Tamburino, oggi al Consiglio direttivo dell’Archivio Flamigni, è invece mosso dalla urgenza di dare un senso alla nostra storia – perché quella ufficiale un senso non ce l’ha – di rappresentare il nostro Paese dentro i fatti reali, gli unici che possono farci leggere la nostra storia e il nostro presente, uscendo da retoriche alimentate da anni di politiche indifferenti alla materia.

Con questo libro si fa un bel passo in avanti. Peppino De Lutiis, suo amico ed estimatore, diceva sempre che non bisognava rammaricarsi per come era stata chiusa l’inchiesta padovana: “Se non lo avessero fatto, Giovanni sarebbe stato di sicuro ammazzato”, quindi, in un pensiero a Peppino, va bene così.

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La legge Spadolini contro le società segrete nacque sterile: si rispolveri un’altra proposta

Nel 1982, oltre alla Legge Rognoni-La Torre che introdusse finalmente il reato di associazione mafiosa, il Parlamento approvò, sempre con grave ritardo, anche una norma penale a contrasto delle associazioni segrete. L’anno precedente era scoppiato il bubbone della P2, che provocò profondo turbamento in un’opinione pubblica non ancora assopita dalla depoliticizzazione. I partiti – alcuni dei quali pienamente compromessi con la loggia di Licio Gelli – furono allora costretti a dare una risposta a quello scandalo. Il governo Spadolini, nato col dichiarato scopo di moralizzare la vita politica italiana, si impegnò così a confezionare una normativa contro la P2 e contro tutte le società segrete.

Parturiunt montes. La Costituzione del 1948 era stata molto chiara: “Sono proibite le associazioni segrete”. Molto meno comprensibile è invece il nuovo reato previsto con la legge n. 17 del 25 gennaio 1982, che vieta con una pena decisamente blanda (fino a due anni per i semplici affiliati e da uno a cinque anni per i capi) soltanto le associazioni occulte che interferiscano nei pubblici poteri. A quarant’anni dall’emanazione della Legge Spadolini, sarebbe opportuna una riflessione sull’utilità di quel delitto, sarebbe utile chiedersi se sia servito davvero a combattere il male del “potere invisibile”. A giudicare dall’esiguità della giurisprudenza, sembrerebbe proprio di no. Stefano Rodotà – che durante la discussione in aula aveva definito la norma “assolutamente insufficiente” – ci aveva visto bene. Il testo ha evidentemente due gravi difetti: da un lato l’evanescente elemento costitutivo della “finalità di interferire sui pubblici poteri”, che viola il principio di tassatività del diritto penale e provoca di conseguenza insormontabili difficoltà ermeneutiche, dall’altro le pene esigue che oltre a essere palesemente inadeguate impediscono agli inquirenti il ricorso alle indispensabili indagini tecniche di registrazione delle conversazioni.

Insomma la norma nasce sterile, con azzerate chance probatorie. Essa rientra a pieno titolo nella categoria della “legislazione simbolica”, con la sua tipica caratteristica della inconsapevole (o consapevole) ineffettività. Si potrebbe perciò rispolverare la proposta di legge presentata da Davide Mattiello nella scorsa legislatura (24 febbraio 2017), che semplicemente espunge il riferimento infelice alla finalità politica e inasprisce le pene in maniera da consentire lo strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Riguardo poi alle forze armate, sarebbe oggi altrettanto auspicabile revisionare l’art. 1475 del codice dell’ordinamento militare che, al comma 3, si limita misteriosamente a vietare l’adesione alle associazioni segrete penalmente rilevanti. Poiché appare del tutto superfluo proibire un reato, si potrebbe pensare di estendere il divieto a tutte le logge coperte e alle associazioni massoniche. È davvero curioso che la stessa norma contenesse fino al 2018 un divieto assoluto di iscriversi ai sindacati (comma 2 abrogato dalla Corte costituzionale). Da qualche giorno, si sa, è entrata in vigore una timida legge sulla libertà sindacale dei militari: il legislatore ha optato per un modello molto simile alla vecchia “rappresentanza” già a disposizione dei lavoratori in divisa.

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Loggia Ungheria, non stupisce che la procura voglia archiviare ma la legge Spadolini va migliorata

Non sorprendentemente la Procura di Perugia ha chiesto l’archiviazione del procedimento sulla presunta loggia Ungheria. Per questo motivo, torno su un argomento già affrontato poco tempo fa. Interessa qui mettere a giorno il lettore di quello specifico passaggio del comunicato stampa firmato da Cantone che evidenzia il mancato accertamento, nel corso delle indagini, dell’attività di “interferenza sui pubblici poteri” da parte del sodalizio ipotizzato. Anzi, il condizionamento su alcune nomine di vertice della magistratura c’è stato (o è stato tentato), ma si tratterebbe di “risultati ascrivibili ad interessi personali o professionali diretti” di alcuni indagati. Amen.

Insomma ritorna ancora una volta la questione della inadeguatezza della legge Spadolini e in particolare della infelice formulazione del reato, che circoscrive la rilevanza penale alle sole associazioni segrete che “svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”. Pure l’inchiesta della Procura di Palmi del 1992 naufragò (anche) perché gli inquirenti non riuscirono a individuare le “interferenze”. Nel decreto di archiviazione del Gip di Roma, Augusta Iannini, leggiamo: “All’eccezionale ampiezza del raggio delle indagini […] non ha corrisposto una altrettanto ampia localizzazione delle investigazioni in direzione delle specifiche attività di interferenza in ambiti istituzionali ricollegabili alle realtà organizzative individuate”.

La legge n. 17 del 1982 – lo ribadisco ancora una volta – ha introdotto quarant’anni fa una norma di attuazione soltanto parziale del dettato costituzionale – l’art. 18 della Costituzione proibisce invece “la segretezza in quanto tale” – inserendo un elemento molto vago come l’”interferenza su organi pubblici o costituzionali”, che è di difficile interpretazione e certamente in contrasto col principio di tassatività (o determinatezza) del diritto penale. Oltre all’evanescenza della formula, contribuisce ad azzerare le chance probatorie un trattamento sanzionatorio decisamente blando rispetto alla gravità del reato (fino a due anni per i semplici affiliati e da uno a cinque anni per i capi), che si pone in contraddizione con il principio di proporzionalità della pena e soprattutto non consente il ricorso alle indispensabili intercettazioni telefoniche e ambientali.

La previsione di un “reato di pericolo” che colpisca l’associazionismo segreto in sé appare corretta. In democrazia, il potere deve essere visibile. Le decisioni si prendono, per dirla con Norberto Bobbio, “sotto il controllo della pubblica opinione”. L’esistenza di poteri occulti va perciò considerata inaccettabile. Non dobbiamo consentire che essi si sostituiscano ai partiti e ai legittimi luoghi deliberativi. Non possiamo permettere che governino “senza essere al governo”, come disse lo stesso Gelli. Le scelte politiche si fanno in Parlamento e nei palazzi delle istituzioni, non altrove. In un regime democratico, che naturalmente riconosce pienamente la libertà di parola e di associazione, chi si associa in segreto lo fa solo per delinquere o, nella migliore delle ipotesi, per raggiungere obiettivi incompatibili col bene comune. Nei centri di potere occulto si annidano infatti fisiologicamente gli interessi più loschi. Perciò non è ammissibile alcuna tutela della segretezza.

Questo concetto fu già espresso da Giuseppe Mazzini nello scritto I doveri dell’uomo del 1860: “L’associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, armi di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti”.

Quindi, se abbiamo a cuore la trasparenza come valore fondante del nostro ordinamento, se riteniamo necessaria una sanzione penale contro tutte le società segrete, se pensiamo che nella nostra società non debbano esserci “santuari” impermeabili alle indagini, è auspicabile a questo punto una riforma costituzionalmente orientata della Legge Spadolini, che la renda finalmente efficace e attribuisca sufficiente deterrenza a un reato che oggi risulta pressoché inutile.

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Il contrappasso di Sara Cunial: la deputata no vax finisce nel mirino dei complottisti per un gesto con le mani. “È un segnale massonico”

Il contrappasso è di quelli storici: Sara Cunial, la deputata alfiera del complottismo, è finita vittima dei complottisti. E con l’accusa peggiore: quella di essere un’infiltrata della massoneria, l’associazione esoterica che regge le redini del mondo, antagonista principe nelle narrazioni della comunità no vax che è il suo elettorato di riferimento. Venendo affiancata, come massima onta, a esponenti degli odiatissimi “poteri forti” come il segretario Pd Enrico Letta o la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Il motivo? Un fermo immagine catturato durante un comizio in piazza Duomo a Milano, in cui l’ex M5s – fondatrice del movimento “Vita” – incrocia i polsi sopra il petto, i palmi delle mani rivolti verso il corpo. Un gesto probabilmente del tutto casuale – qualcuno lo interpreta come un applauso agli astanti – che però il suo pubblico riconduce subito al segno massonico del Buon pastore, una delle mosse incluse nella preghiera del “rito scozzese di Kansas city“, come ricorda un utente su Facebook postando un video di YouTube. E in un commento uno dei suoi seguaci, deluso, sentenzia: “Io non vado a votare“.

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In rete gira anche un collage di foto in cui la posizione delle braccia della Cunial è affiancata a quella simile di Letta e della von der Leyen. “Perché la Cunial usa il simbolo del Buon pastore?”, si chiede Manuela condividendolo. “Esoterismo politico?”, commenta Luca. Mentre Antonio non ha dubbi: “È una m***a“. Infine interviene Roberta a spiegare con poche parole “18esimo grado della Massoneria di rito scozzese, e dei Rosa Croce”. Una shitstorm in piena regola da cui la deputata non può nemmeno difendersi: la sua pagine Facebook, infatti, è stata sospesa l’anno scorso per “disinformazione“.

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Massoneria, mafie e politica: il dibattito in Regione Lombardia con Davigo, Lombardo e De Magistris

“Portare alla luce l’attività della masso-mafia“. È questo l’oggetto del dibattito organizzato in Regione Lombardia, all’interno della sala Pirelli, venerdì 30 settembre alle 18 e 30. Il titolo del dibattito è Massoneria, servizi, politica, mafie. “Sono fatti di cui nessuno parla”, spiega Luigi Piccirillo, consigliere regionale della commissione Antimafia, che ha organizzato l’evento. Tra i relatori del dibattito ci sono Piercamillo Davigo, ex magistrato del pool di Mani pulite ora in pensione, e il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo.


Presente anche Luigi De Magistris, ex pm di Catanzaro, già sindaco di Napoli e ora leader di Unione popolare, e l’ex pm Carlo Palermo, sopravvissuto all’attentato di Pizzolungo, vicino a Trapani, il 2 aprile del 1985. A moderare il dibattito sarà il giornalista del Fatto Quotidiano, Gianni Barbacetto. L’incontro sarà visibile in streaming sulla pagina facebook del consigliere Piccirillo e sul sito de ilfattoquotidiano.it. L’ingresso in presenza è libero, per partecipare scrivere a: luigi.piccirillo@consiglio.regione.lombardia.it.

Sulle masso-mafie, il consigliere regionale spiega di aver anche presentato un progetto di legge in Regione. L’obiettivo della norma è rendere pubblica l’appartenenza di consiglieri, assessori e presidente delle regioni a organizzazioni private che abbiano “finalità di carattere politico o di promozione economica”. Il progetto di legge ha lo scopo di promuovere la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche. Due sono le strade da intraprendere: la prima è “rendere chiaro agli elettori quali eventuali interessi possano influenzare l’operato dei candidati”, la seconda “prevenire la formazione di lobby di potere nella quale la mafia possa trovare terreno fertile”.

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Massoneria, la relazione dell’Antimafia: “La legge scritta dopo la scoperta della P2 è inadeguata, servono nuove norme”

La legge Spadolini-Anselmi, scritta dopo la scoperta della P2, è inadeguata: servirebbero nuove norme per contrastare il connubio tra le associazioni criminali e la massoneria. È impietosa nelle sue conclusioni la Relazione della Commissione antimafia sui “Rapporti tra la criminalità organizzata e le logge massoniche, con particolare riferimento alle misure di contrasto al fenomeno dell’infiltrazione e alle doppie appartenenze”. Approvata il 7 settembre dall’organo guidato da Nicola Morra, sbrigando le incombenze rimaste aperte dell’ultima legislatura, dopo 15 sedute e 13 audizioni, il rapporto ribadisce il vivo interesse da parte “della ’ndrangheta, di Cosa nostra, ma anche di autonomi comitati di affari vicini a tali ambienti criminali, di infiltrarsi nel tutt’altro che impermeabile sistema massonico” per realizzare disegni criminosi di ampio respiro, dall’acquisizione, gestione o comunque al controllo di attività economiche, appalti e servizi pubblici alla manipolazione del voto nelle consultazioni elettorali e all’inserimento di propri referenti nei gangli della pubblica amministrazione e nelle assemblee elettive locali.

Logge e clan – Un connubio criminale che rende molto difficile proteggere il mondo legale dell’economia pubblica e dell’apparato amministrativo dello Stato. Del resto, il canale massonico continua ad essere utilizzato da imprenditori e professionisti per “avvicinare” magistrati – che ritengano o sappiano essere vicini o aderenti alle logge – al fine di tentare di “aggiustare” l’esito dei processi, nonostante le sanzioni disciplinari connesse alla iscrizione ad associazioni massoniche. Insomma, la mutualità criminale tra i due mondi paralleli trova nuove conferme nel lavori dei commissari antimafia, guidati dalla senatrice Margherita Corrado, che, pur non producendo nuovi dati conoscitivi, hanno utilmente rielaborato quelli esistenti, muovendosi sulla strada già tracciata dalla Commissione Bindi della XVII Legislatura – che ingaggiò un coraggioso ‘duello’ con il Grande oriente d’Italia che non voleva mostrare gli elenchi dei propri iscritti – e da numerose inchieste sfociate in pubblici dibattimenti nei nostri Tribunali: l’operazione Gotha, che ha accertato la componente riservata o massonica della ‘ndrangheta, proseguita poi in quelle denominate Meta, Il Crimine e Infinito, il processo noto come ‘Ndrangheta stragista, le indagini Artemisia (Trapani), Sub Rosa Dicta (Trani, coinvolti tre magistrati in reati contro la Pubblica amministrazione) e Geenna (Valle d’Aosta).

Il lavoro dell’Antimafia – Il Comitato ha rielaborato le informazioni derivanti da queste solide istruttorie incrociandole con le audizioni di persone che, a vario titolo, hanno conosciuto profondamente il mondo massonico, o per averne fatto parte con ruoli di vertice, come il professore Giuliano Di Bernardo, prima Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e poi fondatore e Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia, o per averne fatto l’oggetto principale dei propri studi e ricerche o inchieste, come lo storico Aldo Alessandro Mola e il professor Massimo Introvigne, tra i massimi esperti di simbologia ed esoterismo. Carlo Palermo e Giuliano Mignini, invece, hanno svolto complesse attività istruttorie nel corso della loro esperienza di magistrati della Repubblica. Come in un recente libro dal titolo Padre e padroni delle logge invisibili (Castelvecchi) di fondamentale importanza per conoscere la geografia del mondo massonico deviato, scritto da Piera Amendola, già responsabile cell’Archivio parlamentare d’inchiesta della Commissione P2, la disciolta Commissione Antimafia fornisce un quadro dettagliato e allarmante sugli intrecci delle “massomafie” nelle quali viene riprodotto il modello “circolo Scontrino – loggia Iside 2” accertato negli anni Novanta “evidentemente mai passato di moda”: in sostanza si tratta dell’annidamento di logge segrete nell’ambito di logge regolari anche appartenenti ad obbedienze diverse, e in « centri studi », circoli e associazioni del tutto palesi nello svolgimento della loro attività culturale e di promozione sociale.

Legge Spadolini-Anselmi inadeguata – L’esito di questa analisi è inesorabile: ancora una volta ribadisce l’inadeguatezza della legge Spadolini-Anselmi, scritta all’indomani della scoperta della P2 (marzo 1981). Quella norma stabilisce il divieto dell’associazione segreta ma non la punisce, rimandando all’eventuale scoperta di un reato specifico. L’allarme suscitato dal quadro esistente, invece, impone l’introduzione di nuove norme che siano capaci di fronteggiare rischi certi e di garantire il corretto funzionamento dei pubblici poteri: si pone con forza l’urgenza di delimitare fortemente la segretezza, specialmente a coloro che esercitano poteri pubblici o funzioni di particolare rilievo, e di allargare l’applicazione dell’articolo 18 Costituzione (“Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”) in modo da considerare le associazioni segrete, di per sé, un pericolo per la democrazia del Paese, come fortemente raccomandato dalla Commissione Bindi nella sua relazione del 2017.

Il racconto del professore: “La mia legge non funziona” – Nella sua audizione il gran maestro De Bernardo ha riferito parole nuove e sorprendenti a proposito dell’inefficacia della legge Spadolini-Anselmi: intorno al mese di marzo del 1993, circa un mese prima delle sue dimissioni da Gran Maestro del Goi., il professor Paolo Ungari, che aveva elaborato quella legge (morto accidentalmente, in circostanze mia chiarite, nel 1999 cadendo nel vano ascensore di un stabile di via Ara Coeli a Roma), gli aveva confidato di avere la consapevolezza che non avrebbe realizzato lo scopo a cui era diretta: “(Ungari) mi dice che quella legge, che è stata voluta per impedire la formazione delle logge coperte, in realtà le tutela”. Gli spiegava il suo interlocutore che la norma – cioè l’art. 1 della legge 25 gennaio 1982 n. 17 – constava di due parti: la prima, dove sono “vietate le logge” (“Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall’art. 18 della Costituzione, quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soci…”), la seconda, invece, dove le logge “sono vietate e condannabili alla sola condizione che tramino contro lo Stato” (” … svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento auto- nomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”). La soddisfazione del professor Ungari per avere collaborato come tecnico alla predisposizione di una norma di così insidiosa perfezione si manifesta nella beffarda considerazione confidata al professor Di Bernardo: “Della legge del 1982… voglio vedere quando se ne accorgeranno”. Una testimonianza che rafforza, se c’è ne fosse bisogno, la necessità di metter mano alla norma. La Relazione conclude ottimisticamente lasciando alla Commissione Antimafia della Legislatura in corso il proseguimento del lavoro. Non resta dunque che attendere.

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Messina Denaro, il suo medico Alfonso Tumbarello è un massone: sospeso dal Grande Oriente d’Italia dopo l’indagine

Medico di base di Andrea Bonafede, ovvero Matteo Messina Denaro. Consigliere provinciale prima e candidato alle regionali con Cuffaro e Pdl poi. Ma anche massone, appartenente alla loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” (1035) all’Oriente di Campobello di Mazara. Alfonso Tumbarello, il medico di base trapanese finito nel registro degli indagati per aver curato l’ultimo boss stragista – l’ipotesi per ora è procurata inosservanza di pena aggravata dal metodo mafioso – faceva anche parte della massoneria. La conferma arriva dal decreto firmato ieri, 17 gennaio, dal gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi, che ha sospeso Tumbarello dopo la notizia dell’indagine a suo carico.

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“Presa visione delle notizie apparse sulla stampa“, si legge nel provvedimento, “il Fr. Alfonso Tumbarello è sospeso, a tempo indeterminato, da ogni attività massonica”. Così è previsto dagli articoli 15 e 32 della costituzione dell’Ordine. “Si dispone che il presente decreto venga trasmesso all’ufficio del Grande Oratore e che ne sia data notizia all’interessato, alla Loggia di appartenenza, alla Giunta dell’Ordine, ai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali ed alla Gran Segreteria del G.O.I.”, conclude il documento, firmato da Bisi e dal Gran segretario Emanuele Melani.

Andato in pensione lo scorso dicembre, Tumbarello è stato interrogato dagli inquirenti subito dopo il blitz con il quale i Ros dei carabinieri hanno catturato ‘u Siccu. A quanto si apprende avrebbe dichiarato: “Non sapevo nulla. Per me lui era il signor Bonafede”. Oltre al camice bianco, tuttavia, Tumbarello sembra aver sempre avuto una passione per la politica e per la massoneria.

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Che fine farà Matteo Messina Denaro? Per certi politici e massomafiosi ora il boss è un problema

Temo che lo uccidano. È stato grande e giustificato l’orgoglio delle forze dell’ordine per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Un risultato storico. Magistrati, carabinieri, poliziotti, finanza, tutti. A un certo punto hanno collaborato per catturare il boss latitante da trent’anni. Un uomo cinico e spietato che ha in mano informazioni preziose e indicibili segreti. Ecco, per quest’ultima ragione temo: “Quando in carcere qualcuno custodisce segreti pericolosi, non è improbabile che finisca avvelenato.”

Lui è il primo a saperlo. Sembra che abbia affermato: non mi pentirò mai. Spero non gli accada nulla, naturalmente. Ma il timore è forte. Messina Denaro conosce troppe cose. Le collusioni su cui ci interroghiamo da decenni potrebbero essere liberate dal silenzio di una classe politica corrotta che tace. Potrebbero. Ma temo la calcolata freddezza con cui uomini dei servizi fecero sparire – tra l’odore acre di sangue, la macchina in fiamme, il cadavere di Paolo Borsellino ancora caldo – l’agenda rossa.

Sono maestri in certe cose “gli uomini che si muovono nell’ombra”. Qualcuno crede davvero che politici collusi e massomafia non stiano pensando di silenziare il boss? Lo faranno con una trattativa, dicono. Forse. Ma il clima oggi è diverso. Potrebbe non funzionare. Resta che il boss di Trapani per molti è un problema. L’agenda di Borsellino custodiva nomi e segreti e Messina Denaro li conosce. L’agenda doveva sparire. Messina Denaro, no? Temo che lo uccidano.

È una giornata epocale l’arresto del boss latitante per trent’anni. Ma ora s’apre uno scenario nuovo: egli sa dove sono i documenti non trovati nel covo di Totò Riina e sa anche le ragioni segrete che impedirono perquisizione e ritrovamento. Chi ostacolò? Perché? Quale collusione, sozzura, trattativa si volle custodire? Tanti omicidi e qualche suicidio coprono il segreto. Si permetterà a Messina Denaro di svelarlo? “Gli uomini che si muovono nell’ombra” sanno come agire. Sempre.

Un omicidio s’è necessario; un suicidio s’è più utile; un omicidio camuffato da suicidio, se serve: così in molte circostanze così sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Storie diverse, certo. Ma fino a un certo punto. Mafia, massoneria, corruzione e denaro. Anche oggi c’è in gioco molto denaro. Che fine hanno fatto i soldi mai trovati di Riina e Bernardo Provenzano? Il boss di Trapani, che possedeva più di 4 miliardi di euro, lo sa.

Lo aspetta una lunga carcerazione e parlerà. Ha il cancro, si porterà con sé i segreti. Ipotesi. Tutte con una loro razionalità. Io voglio concentrami su una: che viva e decida di raccontare tutto, lo lasceranno parlare? Nella Controversia liparitana e nel Contesto, Sciascia dice che il potere è sempre in ultima istanza (soprattutto) potere di uccidere. Consentiranno a MMD di svelare gli “indicibili accordi”? Di mandare all’aria un pezzo di Stato italiano che, con tutta evidenza, ha consentito tranquille latitanze ai grandi boss con cui colludeva? Temo che lo uccidano.

Ma è in carcere ed è sorvegliato dicono. Anche Michele Sindona era ben sorvegliato, poi arrivò un caffè corretto. Naturalmente spero di sbagliarmi. Ma perché l’Italia dev’essere così anomala e non si sta tranquilli nemmeno quando, dopo trent’anni, un capomafia finisce in carcere? È che siamo un Paese dove tanti partiti sono infiltrati dalla mafia; un ex presidente del Consiglio ha costruito una carriera durante la quale sono stati documentati numerosi contatti con “uomini d’onore”; le intercettazioni vanno eliminate (perché funzionano troppo); lo Stato occulto tratta coi boss “la merce più preziosa: il silenzio” (Travaglio). Avverrà anche adesso? Non lo so. Ma in un Paese come il nostro può accadere tutto. “Gli uomini che si muovono nell’ombra” sono pronti: da MMD vogliono il silenzio, ma se “impazzisce” (e collabora coi magistrati) agiranno: temo che lo uccidano.

Post scriptum. Voglio credere che l’ammirazione di Giorgia Meloni per Borsellino sia sincera. Ma le persone di cui si circonda? Gli attacchi alle intercettazioni? Possibile che non avverta l’incoerenza? Delle due l’una: o non vede la contraddizione, ed è un problema per lei; o la vede, ed è un grande problema per il Paese.

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Sardegna, i dirigenti regionali indagati con Solinas erano massoni: il Gran Maestro Bisi li sospende a tempo indeterminato dal Goi

Sospesi a tempo indeterminato da ogni attività massonica“. L’inchiesta per corruzione e riciclaggio che coinvolge il governatore della Sardegna Christian Solinas si arricchisce di un dettaglio: due dei coindagati, il suo consulente Christian Stevelli e il dirigente regionale Roberto Raimondi, sono massoni affiliati al Grande oriente d’Italia (GoI), la più antica e numerosa obbedienza del Paese. O meglio lo erano, perché a causa dell’indagine il capo dell’istituzione Stefano Bisi li ha sospesi entrambi, citando l’articolo 15 della Costituzione dell’Ordine, secondo cui “il Libero Muratore, sottoposto a procedimento penale dell’autorità giudiziaria ordinaria per fatti non colposi, può essere cautelativamente sospeso da ogni attività massonica con provvedimento del Gran Maestro”. I due decreti di sospensione di Stevelli e Raimondi sono stati “trasmessi all’ufficio del Grande Oratore“, una sorta di pubblico ministero massonico, e ne è stata data notizia “alla Loggia di appartenenza, alla Giunta dell’Ordine, ai Presidenti dei collegi circoscrizionali e alla Gran Segreteria del GoI”.

Stevelli, fedelissimo di Solinas ed ex candidato sindaco di Quartu sant’Elena, fa parte della loggia “Concordia” dell’Oriente di Cagliari. Raimondi, invece, è affiliato alla loggia “Bruno Bellucci” dell’Oriente di Perugia: economista e manager, nominato lo scorso settembre a capo dell’Ufficio dell’autorità di gestione del programma operativo “Eni Cbc Bacino del Mediterraneo“, è anche direttore della scuola di dottorato di ricerca alla facoltà di Medicina dell’università pubblica di Tirana”. Secondo l’ipotesi del pm Giangiacomo Pilia, in cambio della nomina nell’ente regionale (140mila euro di stipendio all’anno), Raimondi ha fatto assegnare a Solinas una laurea honoris causa in Medicina dall’università di Tirana, dove il governatore stesso avrebbe tenuto alcune lezioni, sul cui pagamento al momento non sono stati trovati riscontri. Raimondi è anche “professore straordinario a tempo determinato” all’Unilink, ateneo privato con sede a Roma: anche lì avrebbe promesso a Solinas di fargli avere delle docenze, ma questa volta in materie giuridiche.

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La massoneria inglese riaccoglie il Grande Oriente, ma i “fratelli” si spaccano. Di Bernardo: “Scelta incomprensibile”

Noi profani ne sappiamo poco o nulla, ma la massoneria italiana è in grande fibrillazione. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, massima entità massonica al mondo, nonché la più antica, fondata nel 1717 in un pub di Londra, ha deciso di tornare a riconoscere il Grande Oriente d’Italia, la più importante e numerosa Obbedienza del nostro Paese, guidata dal Gran Maestro Stefano Bisi. Il riconoscimento avverrà l’8 marzo, quando nella capitale britannica si riuniranno le figure di maggior spicco della massoneria del Regno Unito per la “Comunicazione trimestrale”. Lo si legge nel documento di convocazione, che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare.

L’evento non cade in un momento felice, dato che l’arresto di Matteo Messina Denaro ha riportato d’attualità il tema delle infiltrazioni mafiose tra i “fratelli”: al Grande Oriente è affiliata la loggia Valle di Cusa-Giovanni di Gangi di Campobello di Mazara, a cui appartiene Alfonso Tumbarello, il medico del boss latitante, sospeso dopo l’arresto. E proprio le denunce di inflitrazioni mafiose avevano spinto la Gran Loggia d’Inghilterra, nel 1993, a togliere il riconoscimento al Grande Oriente.

Obbedienze rivali – Non è l’unico problema. Nel nostro Paese esiste solo un’altra Obbedienza ufficiale, la Gran Loggia Regolare d’Italia, che il riconoscimento dell’Inghilterra ce l’ha in tasca fin dalla nascita. Fu fondata dal Gran Maestro Giuliano Di Bernardo quando quest’ultimo abbandonò la guida del Grande Oriente, proprio nel fatidico 1993, sull’onda delle denunce delle infiltrazioni mafiose. Comprensibile, dunque, che fra le due sigle non corra buon sangue.

Solo che le Costituzioni della Gran Loggia d’Inghilterra prevedono che due Obbedienze dello stesso Paese possano essere riconosciute soltanto se si riconoscono pure fra loro. Cosa che al momento non esiste, anzi. Dal Grande Oriente cominciano a farsi sentire le voci di chi saluta con entusiasmo la svolta inglese, ma non è per niente disposto ad accettare di riconoscere i grembiulini della Gran Loggia Regolare, colpevoli di aver “tramato” contro il Grande Oriente ai tempi della scissione.

A quanto pare, però, i due Gran Maestri si sono portati avanti. Al punto 4.6 del documento di convocazione si legge che “il Grande Oriente consentirà che continui a essere riconosciuta anche la Gran Loggia Regolare”, e la Gran Loggia Regolare, a sua volta, “ha dato un consenso analogo rispetto al Grande Oriente”. Che ne penserà, però, la “base”?

Inglesi in crisi di vocazioni – Al di là dei cavilli, perché l’Inghilterra ha fatto questa scelta improvvisa? Il documento si limita a dire che il nuovo riconoscimento “è stato chiesto dal Grande Oriente”, il quale oggi è tornato a “soddisfarne i principi base”, che invece nel 1993 erano stati disattesi. E comunque riportare la più grande Obbedienza d’Italia in seno a quella che i Liberi muratori considerano la madre di tutte le logge “è nell’interesse della massoneria inglese”. Quali siano i cambiamenti intervenuti, e gli interessi della massoneria, forse lo sapranno l’8 marzo i selezionati partecipanti alla Comunicazione trimestrale.

Per capirne di più ci rivolgiamo a Giuliano Di Bernardo, che come abbiamo visto è stato Gran Maestro di entrambe le Obbedienze italiane, ha avuto frequentazioni strette con i “fratelli inglesi”, poi ha lasciato la massoneria e oggi, a 84 anni, continua a seguirne le sorti. “La massoneria inglese è in crisi strisciante, gli affiliati sono sempre di meno e sempre più vecchi, ha bisogno di nuova linfa, anche economica”. A differenza di quel che succede in Italia, là i giovani non sono più attratti da cappucci e compassi. Il Gran Maestro della Gran Loggia è il Duca di Kent, Edward, membro della famiglia reale, che ha 86 anni. Nel documento di convocazione per l’8 marzo si legge che dal 2013 al 2022 l’obbedienza inglese ha visto chiudere nel mondo oltre 1.300 logge, passate da 7.612 a 6.357. In questa situazione, argomenta Di Bernardo, l’Inghilterra non poteva più riferirsi, in Italia, alla sola Gran Loggia Regolare che, rispetto al Grande Oriente guidato da Bisi, “brilla per la sua assenza”.

Il gran stipendio del Gran maestro – Mentre Bisi è attivissimo sui media e sui social, pochi hanno sentito nominare il Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia, il sociologo Fabio Venzi. Che agli inglesi, secondo Di Bernardo non va tanto giù: “Appena eletto, nel 2002, fece modificare le Costituzioni per prolungare il proprio mandato da tre a sei anni. Poi si è fatto sempre rieleggere, e dopo vent’anni è ancora in carica. Un fatto gravissimo, che non ha paragoni in massoneria. Così gli inglesi da dieci anni disertano le riunioni della Gran Loggia”. Non è solo questo. Anche la sostanziosa retribuzione di Venzi, secondo Di Bernardo, contribuisce a spingere gli inglesi verso altri lidi. “Dal bilancio 2021, che ho potuto consultare, emerge che Venzi costa alla sua obbedienza 234.670 euro l’anno, fra compenso netto, pari a 98.977 euro, contributi assistenziali e previdenziali, 107.357 euro, foresteria, 8.336 euro, e rimborsi vari per circa 10.000 euro. Vale a dire il 27,8% delle entrate totali della Gran Loggia Regolare, pari a 844.100 euro. Anche questo, per l’Inghilterra, è inaccettabile”. Meglio, quindi, riaccogliere il Grande Oriente con i suoi 23mila iscritti, contro i 2.100 dei rivali.

I tempi della fratellanza che fu di Mazzini e Garibaldi sono dilatati. “Nel 2001 incontrai nel suo castello il marchese Lord Northampton, allora pro-Gran Maestro della Gran Loggia d’Inghilterra, che mi informò dell’intenzione di tornare a riconoscere il Grande Oriente, cosa che mai e poi mai avrei accettato, così mi dimisi dalla Gran Loggia Regolare d’Italia e e dalla massoneria”. La lunga marcia sembrò arrivare al traguardo nel 2017, ma di mezzo ci si mise la Commissione parlamentare antimafia guidata da Rosy Bindi, che ottenne il sequestro delle liste degli affiliati al Grande Oriente e alla Gran Loggia Regolare in Calabria e in Sicilia. E Londra frenò. Perché oggi abbia cambiato idea “per me è incomprensibile”, commenta Di Bernardo. “Per la stessa ammissione dei suoi vertici, nel Grande Oriente nulla è cambiato negli ultimi trent’anni. Dove sono i cambiamenti visti dalla Gran Loggia d’Inghilterra?”. Va ricordato che Bisi ha sempre diffidato dall’estendere all’intero Grande Oriente i guai giudiziari di singoli “fratelli”, e così ha fatto dopo l’arresto di Tumbarello.

Massoneria fluida – Se l’agognato riconoscimento andrà in porto, le conseguenze potrebbero essere molto serie. “La Gran Loggia Regolare rischia l’estinzione, perché se anche il Grande Oriente verrà riconosciuto i profani intenzionati ad affiliarsi avranno tutta la convenienza a scegliere il Grande Oriente, più attivo e visibile”, commenta l’ex Gran Maestro. “Quanto al Grande Oriente, userà il riconoscimento per rimuovere vicende imbarazzanti, come la P2, le infiltrazioni mafiose, le epurazioni interne. Certo, crescerà, ma per fare cosa?”. Ed è destinata a cambiare, secondo Di Bernardo, l’intera massoneria mondiale. Dalle origini e fino al 2007, la Gran Loggia Unita d’Inghilterra riconosceva una sola Obbedienza per Paese, e questo le permetteva “un controllo totale e assoluto sulle Gran Logge sparse per il mondo. La perdita di autorità degli inglesi avrà la conseguenza che la regolarità massonica diventerà sempre più vaga e indeterminata”. Anche la massoneria, al (lento) passo coi tempi, sta diventando fluida.

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Dai tempi di Berlinguer al caso Qatar nulla è cambiato: i ‘debiti di riconoscenza’ ci sono ancora

Il Qatar ha dato “supporto economico” a parlamentari europei, e a persone a essi legate, per avere interventi a proprio favore. Obiettivi analoghi si raggiungono con l’uso delle reti sociali per influenzare le decisioni degli elettori, come pare sia avvenuto con la Brexit e l’elezione di Donald Trump. Anche il supporto alle fondazioni e la pubblicità sui media generano condiscendenza verso sostenitori e inserzionisti. Un giornale o una televisione che “venda” spazio pubblicitario a un’organizzazione che potrebbe avere qualche ombra nel proprio comportamento ci penserà due volte a pubblicare notizie che danneggino l’immagine dell’inserzionista.

Il mondo scientifico non è immune a queste pratiche: i paesi arabi aprono università che attirano i migliori cervelli pagandoli come calciatori. Saranno liberi, i luminari, di esprimersi sulle politiche del lavoro, sanitarie o energetiche, per non parlare dei diritti umani del paese che li paga? Mi è capitato di leggere articoli di blasonatissimi colleghi che mettono in dubbio le “calamità” che affliggono l’ambiente marino, soprattutto a causa del cambiamento climatico che, caso strano, deriva dall’impiego di combustibili fossili, in parti significative venduti dai paesi che pagano i loro lauti stipendi.

Si creano “debiti di riconoscenza” che spingono a compiacere chi generosamente ti riempie di denaro, magari per tenere dotte conferenze su cui paghi regolarmente le tasse: non è vietato. Un collega canadese venne in visita in Italia e, al ristorante, mi precipitai a saldare il conto. Mi fermò dicendomi che per il codice etico del suo Dipartimento non poteva accettare neppure un caffè da chiunque avesse rapporti di lavoro con lui: si crea una sorta di senso di riconoscenza che altera la possibilità di dire no, mi disse. Anche per un caffè. Mi sembrò esagerata, quella norma. Col senno di poi penso che non sia poi così sbagliata.

Volete altri esempi? Chi lavora per molto tempo in ambienti dove si prendono decisioni, una volta in pensione può usare la sua rete di amicizie sul lavoro agendo da “consulente” per chi dovesse avere bisogno di decisioni su misura. Conoscendo l’ambiente, sa a chi rivolgersi. E un tentativo di corruzione da parte di un ex collega che potrebbe anche non essere accettato, senza però arrivare alla denuncia. Oppure potrebbe essere accettato. Un estraneo all’ambiente verrebbe immediatamente denunciato nel timore di una trappola. I neopensionati, quindi, diventano “consulenti” che promuovono interessi di terzi in quello che un tempo era il loro luogo di lavoro, dove conoscono tutti.

Volete altri esempi di questo tipo di comportamento? I massoni giurano di aiutarsi vicendevolmente. Se un massone è in una commissione di concorso e si presenta un candidato massone, i due dovrebbero dichiarare l’appartenenza a una società in cui vige il mutuo soccorso e uno dei due dovrebbe recedere. Tale dichiarazione non viene richiesta. E sappiamo che esistono logge occulte come la P2, che per decenni ha governato l’Italia (Berlusconi ne era parte, ah è ancora al governo? Ma non mi dire). Abbiamo visto come la massoneria abbia infiltrazioni nella magistratura. Come si garantisce l’obiettività di un magistrato massone che valuti l’operato di un confratello al quale è legato da giuramento di aiuto reciproco? La Costituzione proibisce le società segrete (articolo 18): l’appartenenza alla massoneria dovrebbe essere palese rendendo palesi le incompatibilità per vincoli di “fratellanza”, come lo sono quelle per vincoli matrimoniali.

Nel caso del Qatar, i corrotti sono di sinistra e non è la prima volta. Mani Pulite, non dimentichiamolo, ha colpito le malefatte di Bettino Craxi condannato in via definitiva e fuggito dall’Italia per sottrarsi alla giustizia. Era socialista. Il primo presidente di regione arrestato per corruzione, Alberto Teardo, era anche lui socialista e iscritto alla P2. Se non esiste superiorità morale tra i politici di destra e di sinistra, forse ci sono differenze tra gli elettori dei due schieramenti. Quelli di destra giustificano i delinquenti dicendo che tanto sono tutti delinquenti, mentre gli elettori di sinistra si sentono traditi e non rivotano i corrotti.

Risultato: molti elettori di sinistra non votano e vince la destra. Il Movimento 5 Stelle ha lanciato crociate a favore dell’onestà e ha proposto restrizioni alle rielezioni, proprio per impedire assuefazioni al potere, arrivando a vincere le elezioni. Non per niente tutti gli altri partiti li vedono come il fumo negli occhi e sono felici se un 5S è colto con le mani nel sacco: vedi che sono tutti uguali? Si giustificano le proprie malefatte con le malefatte altrui. I 5S non sono immuni da episodi di corruzione e anche di integralismo, ma i loro elettori non gradiscono trasgressioni. Se ci sono, i voti si dimezzano e ci vuole molto tempo per riacquistare la fiducia.

Altri partiti, pur avendo sfilze enormi di condannati, continuano ad attirare voti. La Lega, devastata moralmente per 49 milioni di motivi e sull’orlo del fallimento, si è risollevata con Matteo Salvini che ripropone la politica di sempre. Chi elegge politici opachi è felice di poter dire anche anche gli altri “lo fanno” e il caso del Qatar conferma il ragionamento. La questione morale sollevata da Enrico Berlinguer è più attuale che mai. Leggete la sua intervista: nulla è cambiato.

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Camici bianchi, cappucci neri: perché tanti medici massoni nella terra di Messina Denaro? Venerdì alle 15 la diretta di Millennium Live

Camici bianchi, cappucci neri: perché tanti medici massoni nella terra di Messina Denaro? Per due anni, pandemia compresa, Matteo Messina Denaro è riuscito a curarsi senza dare nell’occhio: è il nuovo fronte delle indagini. Presentiamo il nuovo numero di FQ MillenniuM nella #MillenniumLive di venerdì 10 marzo alle 15, con Renato Costa (ex segretario medici Cgil – Palermo), il giornalista Giuseppe Pipitone (ilfattoquotidiano.it) e la giornalista Manuela Modica. Introduce Mario Portanova (FQ MillenniuM).

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‘Il segreto del Gran Maestro’, il libro che ci rivela aspetti inediti di G. Di chi si parlerà?

Ci sono eventi di cronaca che a poco a poco si trasformano in storia senza che neanche ce ne rendiamo conto. Alcune delle pagine più nere della storia italiana hanno avuto un protagonista ricorrente, inquietante e onnipresente. E’ il “Gran Maestro”, l’uomo che partendo da umili origini ha scalato prima la massoneria e poi la stessa società italiana diventandone, per un lungo periodo, il presunto burattinaio. Tutti avrete capito di chi sto parlando. Un personaggio ormai uscito dalle schiere dei viventi eppure la cui figura ancora permea ampie fasce della politica, dell’impresa e degli affari italiani.

Gianluca Barbera, scrittore eclettico e inarrestabile, dopo le mille imprese di Magellano, Pigafetta e Marco Polo ha voluto dedicare un libro proprio a G., il Gran Maestro di cui promette di rivelare il segreto. Inutile dire che la lettura è immersiva, avvincente e propria di un bel romanzo storico, che però ha per protagonista un personaggio che è apparso in centinaia di telegiornali; del quale si sono scritti migliaia di pagine sui giornali e sui libri.

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Qualcuno che l’opinione pubblica considera un contemporaneo e del quale si conoscono presunte o reali nefandezze – grazie alle torbide vicende che mettono insieme la morte misteriosa di Papa Luciani, di Roberto Calvi, di Michele Sindona e di Aldo Moro – diventa, nel libro di Barbera, una figura epica (nel male) dalla medesima negativa grandezza di un Fouché o di un Catilina. Oltretutto leggendo Il segreto del Gran Maestro chi pensava di conoscere tutto del fantomatico G. grazie alla propria frequentazione della cronaca scopre un personaggio per molti versi inedito, dato che l’autore ripercorre rigorosamente la storia di G. prima che diventasse “quel” G., consentendoci chiavi di lettura inesplorate sia investigando la psicologia dell’intrigante massone, sia illuminando alcuni specifici episodi della storia del fascismo nel quale G. ebbe origine e pastura. Venne davvero ricevuto dal Duce avendone beneplacito e sostegno? Davvero fu così infame da tradire tutti i suoi compagni di ideologia?

Una cosa evidente nella narrazione è che questo “Gran Maestro” è davvero un pessimo maestro che degli ideali non sa che farsene, ma dei lingotti d’oro rubati all’Albania probabilmente sì.

G. è un uomo che si prende gioco di ogni morale e di ogni istituzione, perfino del fascismo e della massoneria stessa della quale Barbera ci restituisce, forse, la più accurata, normale ed elementare procedura di affiliazione: molti rituali zeppi di simboli, ma spesso ridicoli, più che altro moltissimo affarismo e una smisurata sete di potere.

Gli stessi giochi con le banche e con i soldi degli altri hanno origini lontane che risalgono alla prima giovinezza di G. e che impronteranno poi tutta la sua attività manipolatoria. Un dubbio, infine, tracima dal libro: sarà veramente G. a tirare i fili o piuttosto anche lui non era che un burattino in mano ad altri poteri veramente forti? Questo Barbera non lo rivela, ma una citazione di Giulio Andreotti all’inizio del libro potrebbe essere illuminante: “Ora c’è tutta questa ipotesi che G. governasse più che nella stanza dei bottoni. Io non me ne sono mai accorto. Se lo ha fatto vuol dire che aveva una straordinaria capacità, visto che nella stanza dei bottoni c’ero io.”

L'articolo ‘Il segreto del Gran Maestro’, il libro che ci rivela aspetti inediti di G. Di chi si parlerà? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Roberto Scarpinato primo ospite de La Confessione di Peter Gomez in esclusiva solo su TvLoft da giovedì 30 marzo

La Confessione di Peter Gomez sbarca in un’edizione originale realizzata in esclusiva per TvLoft. Sei interviste a cadenza settimanale, ogni giovedì, con la consueta modalità faccia a faccia tra il giornalista e gli ospiti, dal taglio spiccatamente giornalistico, con i suoi risvolti politici, giudiziari e storico-culturali.

I primi tre protagonisti a sedersi sulla “scomoda” poltrona de La Confessione saranno Roberto Scarpinato, Domenico De Masi e Giuliano Di Bernardo. Il tu per tu a 360 gradi con l’ex procuratore di Palermo, oggi senatore Cinque stelle, Scarpinato, che sarà pubblicato su TvLoft il 30 marzo, si concentrerà, per esempio, sul periodo delle stragi di mafia del ’92 e ’93, sulla cosiddetta “trattativa”, sugli interrogativi che ancora oggi circondano gli attentati in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Con il sociologo De Masi, Gomez approfondirà le radici del concetto di “ozio creativo”, ma lo interrogherà anche sulla sua passione politica per la sinistra, che lo ha portato dal Pci di Enrico Berlinguer al Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, ma sempre da indipendente. Infine con Giuliano Di Bernardo, al vertice del Grande Oriente d’Italia dal 1990 al 1993, fondatore e Gran Maestro del Dignity Order, il direttore de ilfattoquotidiano.it parlerà della massoneria e di come quest’ultima sia intrecciata a tutte le vicende storiche italiane, anche quelle più oscure.

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Massoneria, il Grande Oriente torna a bussare alla porta del Senato: lettera a La Russa per riavere Palazzo Giustiniani

La massoneria torna a bussare alla porta del Senato per rivare Palazzo Giustiniani. Nelle scorse settimane il presidente di Palazzo Madama Ignazio La Russa ha ricevuto una lettera dal gran maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi il quale chiede di “sanare un’ingiustizia nei confronti del Goi che perdura da decenni”, come ha scritto ieri l’agenzia di stampa AdnKronos. Si tratta in realtà di un refrain, e la lettera è l’ultima di una lunga serie di missive inviate a tutti i presidenti del Senato con una certa regolarità. La questione, infatti, va avanti da molto tempo, tanto da diventare una intricata matassa ogni anno riproposta dal Goi nella speranza di una soluzione ma fino ad ora nessun presidente del Senato ha ceduto: lo farà La Russa?

La sede di Palazzo Giustiniani fu inaugurata il 21 aprile del 1901 dal gran maestro Ernesto Nathan, poi sindaco di Roma: all’epoca erano in affitto al costo di 11mila lire annue. Secondo un dossier presentato dal Goi nell’aprile dello scorso anno, curato da Carlo Ricotti ed Elisabetta Cicciola e titolato “Palazzo Giustiniani, una questione ancora aperta”, i passaggi critici sono i seguenti: nel 1926 un decreto voluto da Benito Mussolini sottrasse la sede al Grande Oriente assegnandola al Senato del Regno, gesto seguito nel ’29 dalla messa fuori legge della Libera Muratoria (uno schiaffo in faccia ai fratelli nonostante il loro contributo alla costruzione del regime, documentato da Gerardo Padulo ne L‘ ingrata progenie. Grande Guerra, Massoneria e origini del Fascismo (1914-1923), editore Nie); solo nel 1961 il Goi ottenne una convenzione (rinnovabile) per l’utilizzo per 20 anni di 48 locali all’interno del Palazzo, dietro pagamento di un canone annuo; ma nel 1981 arrivò lo “sfratto”, sostiene il Grande Oriente, in seguito ad un accordo con il Senato (presidente era Giovanni Spadolini) e il Ministero delle Finanze in base al quale veniva concessa al Grande oriente una porzione di Palazzo più piccola (appunto 120 metri quadri).

Bisi vuole l’attuazione di quell’accordo, dice a il fattoquotidiano.it che fu invocata pubblicamente nel 1988 dallo stesso Spadolini secondo il quale bisogna “riconoscere il ruolo della massoneria nel Risorgimento italiano”, ricorda orgogliosamente l’attuale Gran Maestro. Che poi ammette: “Ci sono state interlocuzioni a diversi livelli, ma non ho mai parlato con il presidente La Russa, comunque sono fiducioso che si trovi una soluzione. Va trovata perché questa è una ingiustizia”. Il punto è che sia il Tar che il Consiglio di Stato ne stanno alla larga: la natura dei ricorsi richiede l’intervento della giustizia civile, dicono i giudici amministrativi. Dunque si va in Tribunale? Bisi spera proprio di no: “Ho scritto al presidente e al segretario del Senato, ma finora non ho ottenuto alcuna risposta. Vorremmo raggiungere un accordo in pace, perché noi siamo rispettosi delle istituzioni e dello Stato. Ma non escludiamo l’iter giudiziario”. Oggi proprietari della splendida villa del Vascello al Gianicolo, una delle zone più affascinanti della capitale, ricca di simboli risorgimentali, i massoni del Goi pretendono che sia sanato l’antico “scippo”, non vogliono sentir storie: hanno già progettare di portare a Palazzo Giustiniani la sede del museo storico della massoneria, con tutti i loro cimeli, dal poncho di Garibaldi al collare storico dei gran maestri.

Non si conosce la personale intenzione del presidente La Russa che fino ad ora non ci ha messo la faccia, mandando avanti il questore Gaetano Nastri (FdI) il quale ha spiegato ieri che la questione “è da decenni oggetto di controversie e all’attenzione delle autorità giurisdizionali competenti. Il Senato è rappresentato dall’Avvocatura Generale dello Stato”, ricorda Nastri, facendo sentire l’odore del Tribunale. Di sicuro per La Russa è un grattacapo: ridare Palazzo Giustiniani ai massoni, dopo che il Duce decise di sottrarglielo? In questo caso sarebbe il primo presidente del Senato a cedere ai desiderata degli uomini con il cappuccio e il grembiulino.

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Di Bernardo a La Confessione per TvLoft di Gomez: “La massoneria inglese riconosce il Goi? Sintomo di grande crisi generazionale”

L’8 marzo la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, massima entità massonica al mondo, nonché la più antica, fondata nel 1717 in un pub di Londra, ha deciso di tornare a riconoscere il Grande Oriente d’Italia, la più importante e numerosa Obbedienza del nostro Paese, guidata dal Gran Maestro Stefano Bisi. Eppure anche lì sono arrivate le notizie sull’arresto di Matteo Messina Denaro che hanno riportato d’attualità il tema delle infiltrazioni mafiose tra i “fratelli”: al Grande Oriente è affiliata la loggia Valle di Cusa-Giovanni di Gangi di Campobello di Mazara, a cui appartiene Alfonso Tumbarello, il medico del boss latitante, sospeso dopo l’arresto. E proprio le denunce di inflitrazioni mafiose avevano spinto la Gran Loggia d’Inghilterra, nel 1993, a togliere il riconoscimento al Grande Oriente. Per Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia proprio dal 1990 al 1993, ospite de La Confessione di Peter Gomez, in un’intervista realizzata in esclusiva per TvLoft e disponibile sulla piattaforma, questo riconoscimento è il segno di “un periodo di profonda crisi. Non c’è il rinnovo con le giovani generazioni, le quali sono attratte da altre cose – ha spiegato l’ex Venerabile – Per me e per coloro che appartenevano alla mia generazione, entrare in massoneria significava acquisire uno stile di vita e un prestigio che era molto importante, dava un senso alla nostra vita. Oggi tutto questo non c’è più, quindi l’Inghilterra ha voluto riconoscere il Goi nonostante tutto, anche perché in Italia non si sentiva più rappresentata dalla Gran Loggia regolare“, ha concluso il fondatore del Dignity Order.

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